Introduzione

Introduzione di Tiziana Plebani

Un pensiero a Venezia

Dal rientro degli austriaci dell'agosto del 1849, seguito alla fine della grande stagione rivoluzionaria della repubblica di Manin, Venezia avrebbe dovuto attendere sino al 1866 per riunirsi al resto d'Italia.

La mostra illustra, con l'esposizione di giornali, documenti e opuscoli, gli aspetti più salienti della vita della città durante quei quindici anni di attesa. Innanzitutto la trasformazione urbanistica che, già avviata con la realizzazione del ponte ferroviario inaugurato nel 1846, procedeva speditamente verso una 'normalizzazione' della città: interramenti dei rii e costruzioni di numerosi nuovi ponti privilegiavano la dimensione pedonale a scapito della tradizionale e consueta via d'acqua.

Il rilancio di Venezia come meta di turismo balneare vedeva inoltre sorgere numerosi nuovi stabilimenti, migliorando il numero e la qualità dell'attività ricettiva.

Nonostante l'impoverimento e la recessione, la borghesia cosmopolita della città cercava di introdurre elementi di modernità e investimenti produttivi, stimolati dalla costruzione della linea di strada ferrata da Venezia a Milano, dal ritorno del porto franco e dal rilancio dell'attività di estrazione del sale.

Gli stranieri che giungevano a Venezia in quegli anni trovavano quindi davanti a sé un'immagine che mescolava vecchio e nuovo, tratti di decadenza, palazzi diroccati e tracce ancora esistenti delle ferite impresse dai bombardamenti austriaci ma anche una città illuminata dalle fiammelle del gas, caffè pieni di gente, giardini pubblici e passeggiate degne delle maggiori capitali europee e inoltre il famoso carnevale.
Ma l'atmosfera che vi si respirava rivelava anche una città piena di sospetto, diffidenza e ostilità verso lo straniero occupante.

E non priva di atti di disobbedienza e ribellione. Tra il 1851 e il '52 Venezia veniva scossa da un'ondata di arresti, che metteva a nudo un cuore mazziniano che pulsava nelle classi popolari e piccolo borghesi.

Dopo l'impiccagione del patriota comasco Luigi Dottesio eseguita proprio a Venezia, le prime condanne a morte videro protagonisti proprio tre veneziani, Scarsellini, Canal e Zambelli, impiccati la mattina del 7 dicembre del 1852 nella valletta di Belfiore, alle porte di Mantova. E spettò sempre a un altro veneziano, Pier Fortunato Calvi, chiudere la triste serie.

Negli anni successivi atti di resistenza, scoppi di petardi, comparse di bandiere tricolori, circolazione di materiali di propaganda, mantenevano in vita un'attività sotterranea e dopo i deludenti risultati del trattato di Villafranca i veneziani decidevano di ostentare un periodo di lutto patriottico: gli appuntamenti musicali andavano deserti, Piazza San Marco vuota.
Uniformandosi a questo sentimento, i proprietari del Gran Teatro La Fenice concordavano nel settembre del 1859 di chiudere il teatro.

Mentre fuori Venezia si formava nel 1860 un Comitato Politico Centrale Veneto, in città c'era chi si preoccupava di tenere i contatti con i fuoriusciti, inviava loro informazioni, distribuiva materiale clandestino, raccoglieva denaro per sostenere le azioni di resistenza fuori dal Veneto e teneva viva localmente la fiamma della resistenza.

Gli austriaci scoprivano che a tenere le fila del comitato veneziano erano soprattutto alcune donne e si apriva una nuova stagione di arresti e di processi, mentre vari veneziani rispondevano al richiamo di Garibaldi.

La mostra si chiude con il ricordo del plebiscito del 1866 che si carica di un particolare significato per la storia della Biblioteca Marciana, allora in Palazzo Ducale, in quanto proprio nelle sue sale si svolse quel memorabile momento.