1. Autori e Testi

Autori

Strabone

Geografo antico, nato ad Amasea, in Cappadocia, verso il 63 a.C. e morto tra il 21 e il 25 d. C. Compì grandi viaggi, in Egitto, risalendo il Nilo, e nelle regioni del Kush, verso il Sudan, in Etiopia e in Asia Minore; visse a Roma sotto Augusto. Delle sue opere è rimasta solo la Geografia, in 17 libri, scritta in lingua greca.

I brani (citati secondo la classica suddivisione del testo in libro, capitolo, paragrafo e passo) sono tratti da La prima parte della Geografia di Strabone, di greco tradotta in volgare italiano da Alfonso Bonaccioli, Venezia, appresso Francesco Senese, 1562.

Flavio Magno Aurelio Cassiodoro

Nato a Squillace in Calabria tra il 485 e il 490 da una ricca famiglia, fu avviato precocemente alla vita politica, prima come questore sotto il re ostrogoto Teodorico, poi come console nel 515; dopo la sua morte, fu ministro di Amalasunta, la figlia di Teodorico, e ricoprì le cariche di magister officiorum e di prefetto del pretorio.
Si ritirò dalla vita pubblica e ritornò a Squillace dove fondò il monastero di Vivarium, istituendovi uno scriptorium per la raccolta e la trascrizione di testi sacri e pagani.

Scrisse Historia Gothorum, Institutiones divinarum et saecularium litterarum, e Variae, una serie di scritti legati alla sua attività al servizio dei sovrani goti.

Il testo della Lettera ai tribuni marittimi, XIII brano delle Variae, è tratto da Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, v.1, Venezia, Pietro Naratovich, 1854. 

Procopio di Cesarea

Nato in Palestina intorno al 500 d.C. e morto a Costantinopoli verso il 565, fu il più importante storico dell’epoca di lingua greca. Fu avvocato, poi sotto Giustiniano si pose al servizio del generale bizantino Belisario che seguì nelle sue campagne militari.
Oltre agli otto libri di Storie delle guerre combattute sino al 552, scrisse Sugli edifici, un trattato di descrizione delle costruzioni realizzate da Giustiniano nella capitale e nelle province, e Storia Segreta.

Il brano (citato s citati secondo la classica suddivisione del testo in libro e capitolo) è tratto dall'edizione La guerra gotica, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1895-1898, nella traduzione italiana di Domenico Comparetti. 

Paolo Diacono

Nato a Cividale del Friuli tra il 720 e il 730 da una nobile famiglia di origine longobarda, visse a Pavia dove fece studi grammatici e giuridici e in seguito si fece monaco a Montecassino. Si recò alla corte di Carlo Magno, anche per chiedergli la liberazione del fratello Arechi, prigioniero in Francia; apprezzato dal re, si trattenne, contribuendo ai progetti di riorganizzazione scolastica del sovrano.
Tra le sue opere, Historia Romana, Gesta episcoporum Mettensium. L'Historia Langobardorum, divisa in sei libri, è la sua opera più importante, nella quale è narrata la storia del popolo longobardo dalle origini alla morte del re Liutprando nel 747.

I brani (citati secondo la classica suddivisione del testo in libro e paragrafo) sono tratti dall'edizione Dei fatti de' Langobardi, Cividale, tipografia Strazzolini, 1899, con la traduzione di Giansevero Uberti.

 

Testi

Strabone

Sulle caratteristiche della laguna

V, 1, 5, 212.
In verità tutta la regione è ricca di corsi d'acqua e di paludi, soprattutto quella abitata dai Veneti; e quest'ultima è interessata anche dalle variazioni del mare. Infatti è quasi la sola parte, del nostro mare che si trovi nella stessa condizione dell'Oceano e in modo simile a quello sia sottoposta ai flussi ed ai riflussi della marea, che ricopre di una laguna la maggior parte della pianura.
Grazie ad una regolamentazione delle acque mediante canali ed argini, come nel Basso Egitto, una parte di quei luoghi fu prosciugata e resa fertile mentre l'altra è aperta alla navigazione; delle città poi, alcune sono come isole, altre solo in parte sono toccate dall'acqua, e quelle che si trovano al di là delle paludi nella terra ferma, hanno collegamenti fluviali degni di ammirazione, in particolare il Po.

Il centro della laguna descritta è Ravenna

V, 1, 7 213-214.
A partire da un grande porto, si raggiunge Padova dal mare risalendo per 250 stadi (45 chilometri circa) un fiume che attraversa le paludi; il porto si chiama Mεδόαχος come il fiume. In mezzo alle paludi si trova la grande Ravenna, interamente costruita su palafitte, percorsa da corsi d'acqua ed attraversata da ponti e da barche.
Essa riceve, durante l'alta marea, una non piccola parte del mare; in tal modo, spazzato via quanto vi è di fangoso dall'acqua marina e dai fiumi, l'aria insalubre si purifica.

E il luogo è infatti così salubre che i principi ordinarono di nutrire e di esercitare qui i gladiatori. Invero questa innocuità dell'aria a Ravenna, in mezzo alla.palude, è degna di meraviglia, come in Alessandria d'Egitto il fatto che in estate il lago perde la sua nocività grazie alla crescita del fiume e all'inondazione delle terre paludose.
Ma anche la vicenda della vite è degna di stupore. Infatti la palude la fa crescere rapidamente e prodúrre molti frutti, ma la fa morire in quattro o cinque anni. Anche Altino è situata in una palude, in una condizione presso che eguale a quella di Ravenna.

Cassiodoro

Si tratta della testimonianza più importante sulla laguna veneta del VI secolo (navigazione, sale, abitazioni), fondatrice del mito della austerità e sobrietà dei costumi degli antichi abitatori della laguna, fondatori di una coesa comunità.

 

Varia XII, 24.
Con la disposizione data precedentemente abbiamo stabilito che l’Istria porti di buon grado alla città di Ravenna le derrate di vino, olio e grano, delle quali quest’anno dispone abbondantemente. Voi poi che al margine del suo territorio possedete un gran numero di navi, provvedete con uguale devota grazia a fare in modo di portare con tutta celerità il carico che la provincia è pronta a consegnarvi.
Il ringraziamento per la realizzazione sarà pari verso ambedue, dal momento che una parte separata dall’altra non permette che vada a compimento l’impresa. Siate perciò pieni di sollecitudine per questo trasporto nelle vicinanze, voi che spesso attraversate spazi di mare infiniti. In un certo senso voi andate a far visita ai vostri conoscenti, poiché navigate in terra patria.

C’è ancora a vostro favore che avete aperta anche un’altra strada sempre tranquilla e sicura. Infatti quando il mare è chiuso alla navigazione per l’imperversare dei venti, si dischiude davanti a voi l’itinerario attraverso incantevoli canali.
Le vostre navi non temono gli aspri venti: toccano terra con somma allegrezza e non sanno che cosa sia fare naufragio, poiché spesso approdano a terra. Da lontano sembrano camminare sui prati, quando accade di non vedere il corso del canale.
Avanzano tirate da corde, le quali di solito servono a tenerle ferme e, capovolte le condizioni, la ciurma aiuta le proprie navi con i piedi: senza sforzo trascinano le loro portatrici e, invece delle pavide vele, adoperano il passo dei marinai, che è più sicuro.

Ci piace parlarvi di come abbiamo visto l’ubicazione delle vostre case. Le Venezie una volta famose, piene di nobile gente, a meridione raggiungono Ravenna e il Po, ad oriente si deliziano della bellezza del litorale ionico: qui l’alternarsi delle maree ora copre, ora lascia in secco la superficie dei campi con una reciproca inondazione (di acqua o di asciutto).
Qui voi, alla maniera degli uccelli acquatici, avete la vostra casa. Infatti una persona ora si vede stare sulla terraferma, ora su un’isola, così che ben più a ragione credi che le Cicladi si trovino là, dove osservi che l’aspetto dei luoghi cambia repentinamente.

A somiglianza di quelle isole le case appaiono sparse in mezzo ad ampi tratti di mare: e non le ha prodotte la natura, ma le ha create il lavoro umano. Infatti all’intreccio dei vimini flessibili si aggiunge la solidità della terra e non si teme affatto di opporre alle onde marine una difesa tanto fragile: si fa così perché il litorale basso non può scagliare a terra grandi onde, e queste vengono senza forza non avendo l’aiuto della profondità.

Un’unica risorsa hanno gli abitanti, quella di mangiare solo pesci a sazietà. Ivi poveri e ricchi vivono allo stesso modo. Un solo cibo sostenta tutti, uno stesso tipo di abitazione rinserra ogni cosa, non conoscono l’invidia riguardante le case e, vivendo con questo tenore, stanno fuori del vizio, al quale, come si sa, tutto il mondo soggiace.
Tutto il loro sforzo è rivolto alla produzione del sale: invece di aratri e di falci fate rotolare dei rulli; di qui viene ogni vostro provento, dal momento che possedete in essi anche gli altri generi che non producete. In un certo qual senso lì si conia la moneta per il proprio sostentamento. Ogni onda sottostà al vostro trattamento.

È possibile che qualcuno non vada in cerca d’oro, ma invece non ce n’è uno che non desideri trovare il sale, e giustamente dal momento che ad esso ogni cibo deve il potere di essere graditissimo.
Perciò con cura diligente mettete in sesto le navi, che legate alle vostre pareti, come fossero animali, affinché, quando Lorenzo, uomo di grandissima esperienza, incaricato di procurare le derrate, si metterà a chiedervele, vi affrettiate a correre per non ritardare con alcuna difficoltà di portarci gli acquisti a noi necessari, tanto più che potete scegliere, secondo le condizioni del tempo, il tragitto che vi è più vantaggioso.

Procopio di Cesarea

In questo brano descrive la laguna posta nell’area che veniva chiamata estremo del golfo ionico e le sue particolari caratteristiche per la navigazione, determinate dalle maree.

Libro I, 1.
Teodorico mosse verso l'Italia, e la popolazione gotica, caricati sui carri fanciulli e donne e suppellettili quanto ne potevan portare, mosse appresso a lui. Giunti però nel golfo Ionio, non avendo navi, tragittar non potevano; girando lungo il golfo procedettero innanzi attraverso ai Taulanti ed altre genti di quella contrada.
Fattisi contro costoro quei di Odoacre e battuti in assai battaglie, si raccolsero insieme col duce loro in Ravenna ed in altre località delle meglio fortificate. I Goti, posto l'assedio, giunsero ad impadronirsi o in un modo o in un altro di tutti gli altri luoghi; solo Cesena, piazza forte distante trecento stadi da Ravenna, e Ravenna stessa, ove pur trovavasi Odoacre, non riuscirono a prendere a forza né a ridurla ad arrendersi.

Perciocché Ravenna è situata in una pianura sul termine postremo del golfo Ionico; separata dal mare per due stadi di distanza, non è di facile accesso per le navi, né pare lo sia neppure per le milizie di terra.
Giacché le navi a quel lido punto non possono approdare, impedendolo il mare stesso che ha bassi fondi per non meno di trenta stadi, e quantunque a chi naviga appaia quella proda vicinissima, pure di fatto per la estensione dei bassi riesce assai lontana. E neppure per un esercito di terra riesce pratticabile.

Piché il fiume Po, chiamato anche Eridano, che colà arriva dai confini celtici, ed altri fiumi navigavili e laghi fanno che la città sia circondata da acque. Ivi ogni giorno accade cosa che tiene del maraviglioso. Il mare al mattino foggiandosi a fiume penetra dentro terra pel tratto di un dì di cammino d'uomo aitante, rendendosi navigabile in pieno continente; a sera tarda però, disfacendo la via acquatica, refluisce e l'onda fluente ritrae a sé.

Quanti adunque han da introdurre cose d'uso in città o da esportarne per commercio o per altra ragione, posto il carico sulle navi e trattele sul luogo ove la via d'acqua suole formarsi, aspettano l'afflusso; giunto che quello sia, le navi sollevate pian piano da terra si libran nell'acqua e i marinari addetti ad esse postisi all'opera tosto navigano. Né ciò accade colà soltanto, ma su tutta quella spiaggia continuamente fino alla città di Aquileia.
Questo però non suole così avvenire in ogni tempo; ché quanto più fioca è la luce della luna, neppur forte riesce l'avanzarsi del mare; dopo giunta a mezzo però la luna fino al suo tornare calando a mezzo, più forte suol essere il flusso. Ma su di ciò tanto basti.

Paolo Diacono

Libro primo

La storia del popolo longobardo e del suo arrivo in Italia viene preceduta dalla spiegazione delle ragioni più generali del movimento dei popoli, delle migrazioni

1.Le regioni settentrionali, quanto più sono lontane dall'ardore del sole e gelide per freddo e neve, tanto più risultano favorevoli alla salute degli uomini e adatte alla proliferazione delle genti; come, al contrario, l'intera fascia meridionale, quanto più è vicina al calore del sole, tanto più pullula sempre di malattie ed è meno idonea. alla vita degli esseri mortali.
Per questo, sotto il cielo dell'Orsa nascono popoli così numerosi che non a torto tutto quel territorio, dal Don fino all'occidente – ma ogni località in esso ha un proprio nome -, è detto con termine generale Germania, sebbene i Romani chiamassero Germania - superiore e inferiore - anche le due province da loro occupate oltre il Reno.

Da questa Germania popolosa innumerevoli schiere di prigionieri sono spesso trascinate via e vendute in schiavitù ai popoli del sud. E proprio perché dà vita a tanti esseri umani, che a stento riesce a nutrire, da essa sono sovente uscite molte genti, che si sono ríversate su parte dell'Asia e soprattutto sulla vicina Europa.
Lo attestano dovunque le città distrutte, nell'intero Illirico e nella Gallia, ma specialmente nell'infelice Italia, che hà sperimentato la crudeltà di quasi tutte quelle genti. Infatti i Goti e i Vandali, i Rugi, gli Eruli e i Turcilingi, e anche altre feroci e barbare popolazioni, sono venute dalla Germania.
Allo stesso modo mosse dall'isola chiamata Scandinavia - per quanto si avanzino anche altre spiegazioni della sua partenza - pure il popolo dei Winnili, cioè dei Longobardi, che poi regnò felicemente in Italia, e che trae origine dai popoli germanici.

 

A illuminare e vivacizzare il racconto Paolo Diacono inseriva brevi note biografiche, in cui trova spazio anche la figura di una donna.

3.
Il gruppo così designato ad abbandonare la terra natale e ad andare in cerca di paesi stranieri, si sceglie due capi, Ibor e Aio, che erano fratelli, nel pieno della giovinezza e più degli altri valorosi, e si mette in cammino, dicendo addio alla propria gente e alla patria, per trovare delle terre dove poter vivere e stabilirsi. Era madre di questi capi Gambara, donna tra loro forte di ingegno e provvida nel consiglio, sulla cui saggezza essi facevano grande affidamento per le situazioni difficili.

 

Questo brano offre l’immagine del mare e dei suoi misteri che avvolgevano anche la laguna

6.
Non molto lontano da quel punto della costa di cui abbiamo parlato prima, in direzione dell'occidente, là dove si apre senza fine l'oceano, si trova quella profondissima voragine d'acque che chiamiamo comunemente ombelico del mare. Si dice che due volte al giorno essa inghiotta le acque e poi le rivomiti fuori, come è provato dalle onde che avanzano e si ritirano con velocità grandissima lungo tutte quelle coste. 

Si racconta che spesso le navi vengano attratte vertiginosamente dalla voragine di cui abbiamo detto, con tanta velocità da far pensare al volo di una freccia nell'aria; e non di rado in quel baratro periscono con orribile fine. Ma spesso, quando stanno lì lì per essere sommerse, vengono respinte indietro da improvvise masse d'acqua e sono trasportate lontano con la stessa velocità con cui prima erano state attirate.
Dicono che ci sia anche un altro gorgo del genere tra l'isola di Britannia e la terra di Galizia; e lo confermano le coste della Sequania e dell'Aquitania, che due volte al giorno sono ricoperte da così improvvise inondazioni che chi ne venga sorpreso, anche a qualche distanza dalla riva del mare, fatica a salvarsi. E i fiumi di quelle regioni vengono risospinti verso la sorgente con corso velocissimo, e per molte miglia le loro acque da dolci si convertono in salmastre.

Anche il nostro mare, l'Adriatico, che, in misura minore ma in maniera simile, invade le coste della Venezia e dell'Istria, è da credere che nasconda piccoli gorghi del genere, da cui le acque che si ritirano sono assorbite e poi vomitate di nuovo a ricoprire le spiagge. Ora, dopo aver così accennato a queste cose, riprendiamo la narrazione che avevamo cominciato.

 

Nel racconto del grande trasferimento dei Longobardi che avvenne attraversando e conoscendo terre di altri popoli, vengono inseriti racconti stupefacenti ed echi ancora vivi di stirpi leggendarie come le Amazzoni

15.
Accadde a quel tempo che una meretrice partorì sette bambini in un solo parto e, madre più spietata di ogni belva, li gettò in uno stagno per ucciderli.
Chi trovasse la cosa impossibile, rilegga le storie degli antichi e troverà che non solo sette, ma anche nove figli una stessa donna ha potuto partorire in una volta. Ed è certo che questo accade soprattutto tra gli Egizi. Avvenne dunque che il re Agelmundo, mentre era in cammino, arrivasse proprio a quello stagno.
Trattenuto il cavallo, si fermò a guardare i poveri piccoli e con l'asta ché teneva in mano li rigirava di qua e di là, quando uno di loro, allungata la mano, afferrò l'asta regia. Mosso a pietà e profondamente colpito, il re proclamò che il bambino sarebbe diventato un grande uomo.
E subito ordina che sia tratto su dallo stagno e, affidatolo a una nutrice, lo fa allevare con ogni cura; e poiché lo aveva portato via da uno stagno, che nella loro lingua si dice lama, gli dette il nome di Lamissio.

Crescendo, questi divenne un giovane così valoroso da essere un guerriero grandissimo e reggere, dopo l'uccisione di Agelmundo, il governo del regno.
Si dice che, quando i Longobardi, in marcia con il loro re, arrivarono a un fiume e si trovarono il guado impedito dalle Amazzoni, egli combatté a nuoto nel fiume con la più forte di loro e la uccise, ottenendo per sé la gloria della lode e per i Longobardi il passaggio. Infatti tra le due schiere era stato prima stabilito che se quell'Amazzone avesse vinto Lamissio, i Longobardi si sarebbero allontanati dal fiume; se invece, come avvenne, fosse stata superata da lui, ai Longobardi sarebbe stata data facoltà di attraversarlo.

È chiaro però che in questa parte il racconto è meno' strettamente veritiero. A tutti coloro che conoscono le antiche storie è noto che la gente delle Amazzoni fu distrutta molto tempo prima di quando poterono svolgersi questi fatti; a meno che per caso, essendo i luoghi dove questi avvenimenti sarebbero accaduti non abbastanza noti agli storíografi e a malapena presentati al pubblico da qualcúno di loro, non sia successo che una razza simile di donne si sia mantenuta lì fino a quel tempo. In effetti io stesso ho sentito riferire da qualcuno che un popolo di donne così esiste ancor oggi nei territori più interní della Germania.

Libro secondo

Il brano illustra con grande pathos una terribile pestilenza che colpì più volte le coste adriatiche.

4.
Ai tempi di Narsete scoppiò una pestilenza gravissima che colpì soprattutto la provincia di Liguria. All'improvviso apparivano sulle case, sulle porte, sul vasellame e sul vestiario certi segni che, a volerli togliere, si facevano sempre più evidenti.
Passato un anno, cominciarono a formarsi nell'inguine degli uomini e in altri punti particolarmente delicati ghiandole della grossezza di una noce o di un dattero, cui seguiva una febbre intollerabilmente alta, tale che in capo a tre giorni l'uomo moriva.
Se però qualcuno riusciva a superare i tre giorni, allora aveva speranza di salvarsi. Dappertutto era lutto, dappertutto lacrime.

Poiché si era sparsa la voce che fuggendo si poteva scampare al flagello, le case venivano abbandonate dagli abitanti e solo i cani vi restavano a fare la guardia. Le greggi rimanevano da sole nei pascoli, senza più pastore.
Le tenute e i castelli prima pieni di folle di uomini, il giorno dopo, fuggiti tutti, apparivano immersi in un silenzio totale. Fuggivano i figli, lasciando insepolti i cadaveri dei genitori; i genitori, dimenticati l'amore e la pietà, abbandonavano i figli in preda alla febbre.
E se qualcuno per caso era spinto dall'antico senso di carità a voler seppellire il suo prossimo, restava egli stesso insepolto; e mentre eseguiva il rito, veniva colpito dalla morte, mentre compiva l'ufficio funebre per un morto, il suo stesso cadavere restava senza ufficio.

Il mondo era riportato all'antico silenzio: nessuna voce nelle campagne, nessun fischio di pastori, nessun agguato degli animali da preda sulle greggi, nessun attacco agli uccelli domestici. Passato il tempo della mietitura, i campi aspettavano intatti chi li mietesse; perdute le foglie, le vigne rimanevano all'avvicinarsi dell'inverno con i grappoli splendenti ancora sui tralci.
Di notte e di giorno risuonava una tromba di guerra e molti sentivano come il rumoreggiare di un esercito. Non c'era traccia di uomini per le strade, non si vedeva nessuno che ferisse, eppure i cadaveri dei morti giacevano a perdita d'occhio. I pascoli si erano trasformati in luoghi di sepoltura per gli uomini e le case degli uomini in rifugi per le bestie.

Questi mali colpirono solo i Romani e l'Italia, fino ai confini con le genti alamanne e bavare. Intanto morì l'imperatore Giustiniano e Giustino II assunse il governo dello stato a Costantinopoli. In questo stesso tempo il patrizio Narsete, la cui attenzione vigilava su tutto, riuscì finalmente a catturare il vescovo Vitale di Altino, che era fuggito moltissimi anni prima nel regno dei Franchi, nella città di Agunto, e lo condannò all'esilio in Sicilia.

 

Descrizione della composizione del popolo longobardo in cammino.

6.
Alboino, in procinto di partire per l'Italia, chiese aiuto ai suoi vecchi amici Sassoni, per avere un maggior numero di uomini con cui invàdere e occupare il vasto territorio italiano. Più di ventimila Sassoni, con donne e bambini, accorsero al suo appello per andare con lui in Italia. Quando lo seppero, Clotario e Sigeperto, re dei Franchi, fecero trasferire gli Svevi ed altre genti nelle terre da cui erano usciti i Sassoni.

 

L’arrivo del re longobardo al confine tra l’Italia e la Slovenia, sul Monte Matajur e la descrizione di ciò che allora veniva chiamata Venezia.

8.
Quando il re Alboino con tutto il suo esercito e la moltitudine del popolo misto arrivò agli estremi confini dell'Italia, sali sul monte che sovrasta la zona e da lì contemplò parte dell'Italia, quanto più lontano poté arrivare con lo sguardo. Per questa ragione, si dice, da allora il monte fu chiamato Monte del Re. Dicono che su questo monte vivano i bisonti selvaggi.
E non è strano, dal momento che fino a qui si estende la Pannonia, che è terra ricca di questi animali. Un vecchio più che degno di fede mi ha anche raccontato di aver visto la pelle di un bisonte ucciso su quel monte, tanto grande che ci si potevano sdraiare - diceva - quindici uomini uno accanto all'altro.

9.
Di lì Alboino, dopo aver varcato senza nessun ostacolo i confini della Venezia, che è la prima delle province d'Italia, ed essere entrato nel territorio della città o piuttosto del castello di Cividale, cominciò a considerare a chi fosse meglio affidare la prima provincia che aveva conquistato.
È da dire che tutta l'Italia, che si estende verso mezzogiorno o meglio verso sud-est, è circondata dalle acque del mare, Tirreno da una parte, Adriatico dall'altra, e ad occidente e settentrione è chiusa dalla catena delle Alpi, in modo che non si può entrare in essa se non attraverso passaggi strettissimi o salendo sulle cime dei monti; invece dalla parte orientale, dove si congiunge con la Pannonia, ha un ingresso anche troppo aperto e del tutto agevole.

Per questo, come abbiamo detto, Alboino, riflettendo su chi dovesse stabilire come comandante in quel territorio, decise di mettere a capo della città di Cividale e di tutta quella regione Gisulfo, a quanto si dice suo nipote, uomo sotto ogni aspetto idoneo.

 

Paolo Diacono descrive la situazione politica internazionale e la fuga del patrarca Paolo (o Paolino) con lo spostamento del Patrarcato a Grado, tappa cruciale per la strutturazione della vita in laguna. Infine il ricordo di una straordinaria nevicata.

10.
Nei giorni in cui i Longobardi invasero l'Italia, reggevano i Franchi i figli del re Clotario, che alla sua morte avevano diviso il regno inquattro parti. Il primo di loro, Ariperto, aveva la sua sede a Parigi. Il secondo, Guntramno, governava nella città di Orléans. Íl terzo, Chilperico, aveva il trono a Soissons, nella sede del padre Clotario. Il quarto invece, Sigeperto, regnava nella città di Metz. In questo stesso tempo reggeva la chiesa di Roma il santissimo papa Benedetto. A capo della città e del popolo di Aquileia era il beato patriarca Paolo.

Questi, temendo la barbarie dei Longobardi, fuggi da Aquileia nell'isola di Grado e portò con sé tutto il tesoro della sua chiesa. Nell'inverno precedente a quest'anno cadde tanta neve in pianura quanta ne cade in geniere sulle cime delle Alpi; ma l'estate successiva fu di una fertilità quale non si ricordava in alcuna altra epoca.

 

Presentazione del territorio compreso nella Venezia

14. Dunque Alboino prese Vicenza, Verona e le altre città della Venezia, ad eccezione di Padova, Monselice e Mantova. La Venezia infatti non è costituita solo da quelle poche isole che ora chiamiamo Venezia, ma il suo territorio si estende dai confini della Pannonia fino al fiume Adda, come provario gli Annali, in cui Bergamo è detta città delle Venezie. Anche del lago di Garda leggiamo nelle storie: « Il Garda, lago delle Venezie, da cui esce il fiume Mincio». Il nome Eneti - anche se in latino ha una lettera in più - in greco significa «degni di lode» . Alla Venezia è unità anche l'Istria e insieme sono considerate una provincia sola. L'Istria. a sua volta prende il nome dal fiume Istro e un tempo, secondo la storia romana, pare fosse più vasta di quanto è adesso.

La città più importante della Venezia era Aquileia; ora il suo posto è preso da Cividale (Forum Iulii), così detta perché Giulio Cesare vi aveva stabilito un luogo di mercato.

 

Libro terzo

Narrazione a forti tinte di un altro episodio di calamità naturale

23.
In quel tempo si abbatté sul territorio delle Venezie e della Liguria e su altre regioni d'Italia un diluvio quale si crede non si fosse più verificato dai. tempi di Noè. Per le acque smottarono terreni e ville e grande fu la strage di uomini e di animali.
Furono cancellati i sentieri, distrutte le strade e il fiume Adige si ingrossò tanto, che l'acqua intorno alla basilica di San Zeno martire, fuori delle mura di Verona, arrivò fino all'altezza delle finestre superiori, pure se - come scrisse anche il beato Gregorio, poi papa - all'interno della chiesa stessa non penetrò affatto.
Anche le mura di.Verona furono in parte abbattute da quella inondazione, avvenuta il giorno diciassette d'ottobre. Ma tanti furono i lampi e i tuoni, quanti a malapena si hanno in un temporale estivo. E ancora, dopo due mesi, la stessa città di Verona fu in gran parte bruciata da un incendio.

 

Nota:

Per le esigenze della lettura teatrale i testi sono stati elaborati con libertà, i brani sono stati abbreviati e la lingua è stata normalizzata all'uso odierno.