3. Il racconto di una città divenuta Stato

Il consolidamento del racconto delle origini con Martino da Canal, di Alessandra Rizzi

L’autore e l’opera.

La Venezia del Duecento, secolo di grandi cambiamenti, trova in Martino da Canal uno dei suoi principali narratori e interpreti.
L’autore – verosimilmente un veneziano, scrivano pubblico in qualche ufficio del comune –, iniziò Les Estoires de Venise nel 1267, sotto il dogado di Ranieri Zeno, dalla cui cerchia trasse, probabilmente, direttive e sostegno.
La cronaca – dedicata soprattutto all’età contemporanea all’autore – è divisa in due parti: la prima va dalle origini al 1259 e si conclude con la distruzione dei da Romano; la seconda, invece, si occupa del dogado di Ranieri Zeno e soprattutto dello scontro militare fra Venezia e Genova per il predominio nel Levante, e si conclude con la morte di Lorenzo Tiepolo e l’elezione del successore, Jacopo Contarini nel 1275.

La lingua adottata dall’autore è il francese (langue d’oïl), per soddisfare quel pubblico dell’Oriente mediterraneo francofono – sede dei principali interessi mercantili veneziani –, cresciuto con la IV crociata.

Il Duecento veneziano nell’ Estoires de Venise

Nel proemio l’autore condensa contenuti e motivi dell’opera e tratteggia i caratteri fondamentali della città e dei suoi abitanti. Egli intende scrivere per perpetuare nella memoria «le gloriose vittorie che i Veneziani hanno conseguito al servizio della Chiesa e al servizio della loro nobile città». Di Venezia, quindi, sottolinea la nobiltà, la prodezza e la fedeltà e obbedienza alla santa Chiesa e agli uomini.

L’autore passa, poi, a celebrarne la bellezza non disgiunta dalla “ricchezza”, che rinvia alla sua operosità e ruolo economico internazionale; qualità che ritroviamo immortalate nella descrizione delle feste veneziane e soprattutto della processione delle arti per l’elezione di Lorenzo Tiepolo (a evidenziare, forse, anche il legame tra il nuovo doge e i ceti artigiani in ascesa) nella parte conclusiva della cronaca.

Alla descrizione dell’ambiente lagunare delle origini di Cassodoro nel VI secolo, Martino da Canal contrappone l’immagine di una realtà politico-economica più articolata e compenetrata da presenze straniere e da “ogni bene”; un’immagine, però, che non tradisce i presupposti originari: lo stretto e irrinunciabile rapporto con le acque e la pacifica e tranquilla convivenza fra i suoi abitanti, caratteri fondanti del suo mito.
A siffatta descrizione si contrappone, però, la contemporanea realtà del comune veneziano, che vide una tormentata dialettica di ceti e strutture politiche, fino all’irreversibile divaricazione fra Stato e società di fine Duecento.

Il centro intorno a cui ruota la cronaca è rappresentato dalla IV crociata, evento epocale, i cui risultati rivoluzionarono la posizione della città lagunare nel Mediterraneo, portandola ad avere un dominio coloniale all’interno del neo costituito Impero latino d’Oriente, la cui caduta ebbe per Venezia ripercussioni gravissime, sfociate nello scontro aperto con Genova, l’antica rivale.
Il racconto della IV crociata serve a Martino per ribadire la fedeltà di Venezia alla Chiesa – anche a costo di stravolgere sistematicamente il dato storico –, nella speranza che si organizzi una nuova (IV) crociata, per ristabilire l’Impero latino con i privilegi veneziani nel Mediterraneo orientale e, finalmente, annientare il turco; impresa che avrebbe dovuto avere nella città lagunare l’artefice principale e l’alleata fedele.

Martino da Canal di tale periodo è testimone prima illuso, finché i tentativi di ricostituzione dell’Impero latino sembrarono plausibili, e poi disilluso, quando fu chiaro che a nulla sarebbero valsi tanti sforzi diplomatici e militari (di qui l’interruzione della cronaca prima della parte finale, che risulterebbe, perciò, più discontinua e meno convinta del resto).
Venezia, infatti, piuttosto che proseguire nell’idea della crociata, si risolse per una tregua quinquennale con Bisanzio (nel giugno del 1268) – che non la reintregrava, però, nella precedente situazione di dominio e privilegio –, e con gli stessi genovesi (nel 1270).
L’insistenza sull’ortodossia di Venezia e sulla sua funzione di braccio armato della Chiesa percorrerebbe per Martino, in realtà, l’intera storia veneziana, perché tutta la cronaca doveva servire a promuovere la nuova impresa oltremare.

La cronaca di Martino è, dunque, uno specchio ideale del difficile periodo che Venezia stava vivendo dopo la caduta dell’Impero Latino d’Oriente, non perché l’autore dia testimonianza diretta sui traffici in crisi, sulle tensioni sociali e politiche in atto (dà, al contrario, lo spettacolo di una Venezia opulenta e socialmente compatta), ma perché si fa interprete di attese che sono quelle del ceto dominante (cioè quelle della “riconquista”), sconfessate, però, dal corso degli eventi.
L’avvento di Lorenzo Tiepolo, alla morte dello Zeno, avrebbe comportato, inoltre, un ricambio nella classe dirigente e, dunque, d’indirizzo politico.
La sua nomina, peraltro, descritta attentamente dal cronista, concludeva il processo di riforma elettorale della massima carica dello stato – con l’esclusione definitiva dell’assemblea popolare dalla scelta –, segnando un ulteriore passo nel rafforzamento del comune Veneciarum.

Subentrava, quindi, una fase di discordie interne, e la predilezione nelle ultime pagine per Guido da Montefeltro sarebbe dovuta alla necessità, per l’autore, di un uomo forte, un signore forse che superasse la crisi.
Martino, però, venuta a mancare ogni possibilità di rilancio dei traffici, avvertito il dramma delle tensioni cittadine al tempo di Lorenzo Tiepolo e perso, dunque, l’antico ottimismo, si decideva a concludere frettolosamente il suo racconto: la cronaca si chiude nel disagio generale (del cronista e della città); senza la ripresa dei traffici, erano compromessi anche il benessere e la pace sociale.

Introduzione al testo
di Tiziana Plebani

Come si è detto, l'obiettivo di questo ciclo di incontro era anche quello di ricreare la modalità della trasmissione dei testi d'età medievale - la lettura condivisa, leggere ed ascoltare - ma praticata a lungo sino al mondo d’oggi. I testi medievali e di prima età moderna ricordano sovente questa comunità di ascolto, si rivolgono esplicitamente ad essa e non fanno eccezione le cronache cittadine che spesso sono presentate come opere piacevoli da ascoltare e con le quali intrattenersi insieme.

Anche Martin da Canal costruisce un testo che risponde a questa caratteristica ma, rispetto alle narrazioni della città che l’avevano preceduto, ancora più esplicitamente si rivolge al pubblico cui è destinata la sua opera e lo richiama costantemente, facendo anche riferimento al suo bisogno di essere informato sugli avvenimenti del giorno e del passato, come nel testo viene esplicitato: “vi racconterò le opere e le imprese che i Veneziani compirono [...] perché vi è molta gente che vorrebbe saper tutto e questo non può essere, non si può raccontare a tutti ciò che vien fatto al proprio tempo se non lo si fa sapere per mezzo di scritti o di pitture.

Scritti e pitture si vedono con gli occhi, poiché quando si vede dipinta una storia o si sente raccontare una battaglia navale o campale o si leggono in un libro i fatti degli antenati, sembra di esser presenti sul luogo della battaglia. E poiché gli eventi vivono grazie alle pitture e ai racconti e alle letture, ho intrapreso di occuparmi delle opere dei veneziani”.

Per venire maggiormente incontro al suo pubblico Martin da Canal sceglieva di narrare in lingua francese perché, come lui stesso scrive“ è diffusa in tutto il mondo ed è più piacevole da leggere e da udire”. Si trattava infatti di una lingua viva e ben conosciuta attraverso le rotte commerciali e gli scambi avvenuti con le crociate, specie proprio con la quarta, narrata copiosamente dal Canal.

Il francese inoltre era ritenuto allora piacevole perché era la lingua che veicolava in particolare le letture di intrattenimento che anche qui a Venezia e nel Veneto riscuotevano gran successo: i romanzi cavallereschi, le storie di re Artù, quelle del paladino Orlando.
Il Veneto e Venezia furono un ambito di grande diffusione e di elaborazione della cultura trobadorica e provenzale e della civiltà cortese, tanto da produrre un peculiare mescolamento della lingua, un ibridismo definito 'franco veneto', di cui anche Martin da Canal si faceva testimone.

Scegliere il francese significava ricercare un ampliamento del pubblico rispetto al bacino dei lettori del latino e in qualche modo precorreva l’utilizzo del veneziano.
Anche lo stile espressivo rivela questa propensione: il testo è costruito su un modello di epica cavalleresca, il racconto della città è ricreato sulla scia di un romanzo avvincente che utilizza una lingua colorita. Nello svolgersi del racconto, si rinnova sovente l’attenzione del lettore o ascoltatore con peculiari intercalari: “Che dirvi?!, “vi ho detto”, “come ho raccontato”.

Martin da Canal, più che soffermarsi sugli antichi miti di fondazione, legittimava la conquista di territori, giustificava la crociata e la spartizione della 'Romania'. I veneziani sono infatti “perfetti nella fede di Cristo”, desiderosi di assecondare la volontà del papa e di non “venire meno ai patti con nessuno”. Il loro doge è nobile e possente e tutta la città sfila a omaggiarlo.

Le Histoires de Venise di Martin da Canal sono ancor oggi un testo affascinante e coinvolgente, capace di catturarci nella narrazione, seguendo l'ascesa politica della città-Stato divenuta potenza mediterranea, e mirando a stupirci per la complessità dei cerimoniali dogali, la rilevanza dei ceti artigiani e la ricchezza delle merci.

 

Per saperne di più

  • Alberto Limentani, Martin da Canal, Les estoires de Venise. Cronaca veneziana in lingua francese dalle origini al 1275, Firenze, Olschki, 1972 (Fondazione Giorgio Cini. Civiltà veneziana. Fonti e testi. Serie III).
  • Alberto Limentani, Martin da Canal e Les estoires de Venise, in Storia della Cultura Veneta, 1. Dalle Origini al Trecento, a cura di Gianfranco Folena, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 590-601.