Autore
Martin da Canal, l'autore delle Histoires de Venise composte tra il 1267 e il 1275, proveniva dall'ambiente burocratico-notarile, legato all'entourage del doge Ranieri Zeno.
Il testo de Les Histoires de Venise è trasmesso da un singolo codice in pergamena della fine del XIII secolo o dell'inizio del XIV, conservato presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, il cod. Ricc. 1919.
I brani (citati secondo la suddivisione del testo in parte prima e seconda, e la partizione intena in paragrafi numerati in romano) si riferiscono all'edizione a cura di Filippo Luigi Polidori, La cronique des Véniciens. Cronaca veneta, de maistre Martin da Canal, dall'origine della città sino all'anno 1275, “Archivio Storico Italiano”, 8 (1845), pp. 268-707.
Testo
Histoire de Venise
Parte prima
Il primo brano inizia con un’invocazione a Cristo, alla sua dolce madre, al prezioso evangelista messer san Marco, ai tutti i santi e le sante e per onore di messer Ranieri il nobile doge di Venezia, Ranieri Zen, per poi proseguire elogiando le qualità della città, del doge e di tutti i suoi abitanti, leali, onesti e perfetti nella fede.
I.
[...] io, Martino da Canal, ho intrapreso di tradurre dal latino al francese le gloriose vittorie che i Veneziani hanno conseguito al servizio della santa Chiesa e al servizio della loro nobile città. E ho intrapreso quest'opera perché voglio che quelle vittorie non siano mai dimenticate e permangano sempre nella memoria di tutti coloro che sono ora al mondo e di tutti coloro che vi devono venire: per il fatto che gli uni muoiono e gli altri nascono, non sarebbe possibile conoscerle se non le si trovasse messe per iscritto.
E poiché la lingua francese è diffusa in tutto il mondo ed è più piacevole da leggere e da udire di ogni altra, ho intrapreso di tradurre l'antica storia dei Veneziani dal latino al francese, e le opere e le imprese che essi hanno compiuto e compiono. E per questo voglio che gli uni e gli altri, sempre, conoscano le opere dei Veneziani, e chi essi furono e donde vennero e chi sono e come edificarono la nobile città che si chiama Venezia, ch'è oggi la più bella del mondo.
E voglio che tutti coloro che sono ora al mondo e tutti coloro che vi devono venire sappiano come la nobile città è fatta e come essa abbonda d'ogni bene, e come il signore dei Veneziani, il nobile doge, è possente, e conoscano la nobiltà che vi risiede e la prodezza del popolo veneziano, e come tutti sono perfetti nella fede di Gesù Cristo e obbedienti alla santa Chiesa, e che mai trasgredirono i comandamenti della santa Chiesa.
In quella nobile Venezia non osano dimorare né patareni né catari né usurai né assassini né ladri né predoni anzitutto […] perché sono perfetti nella fede di Gesù Cristo e non trasgrediscono mai i comandamenti della santa Chiesa, e perché non recano offesa a nessuno e sopportano molto spesso il danno ch'è loro fatto: e nondimeno, se accade che qualcuno alzi le mani su di loro, essi se ne vendicano presto o tardi: e desistono solo se pregati da messere il papa. E sappiate che i Veneziani non vengono meno ai patti con nessuno.
Martin da Canal passa a descrivere la singolarità del sito, in cui l'acqua fa da sfondo anche alla viabilità, e l'abbondanza e la ricchezza di beni della città-emporio, snodo cruciale di traffici internazionali; insieme alle merci più varie e dalla provenienza disparata degna di nota è la bellezza delle sue donne, le “belles dames et damoiselles et puceles”.
II.
Venezia sorge sul mare: e l'acqua salsa vi scorre in mezzo e intorno e in ogni luogo fuorché nelle case e nelle vie; e quando i cittadini si trovano nelle piazze possono tornare a casa per terra o per acqua. Da ogni luogo giungono merci e mercanti, che comperano le merci come preferiscono e le fanno portare al loro paese.
Si può trovare in quella città cibo in abbondanza, pane e vino, pollame e uccelli di fiume e carne fresca e salata e i grandi pesci di mare e di fiume; mercanti d'ogni paese che vendono e comperano.
In quella bella città potete trovare gentiluomini in grande quantità, vecchi e adulti e giovinetti, la cui nobiltà merita grande elogio; con loro, mercanti che vendono e comperano, e cambiavalute e cittadini d'ogni arte; marinai d'ogni specie, e navi per trasportare in ogni dove e galee per recar danno ai nemici. E in quella bella città vi sono belle dame e damigelle e fanciulle in abbondanza, abbigliate molto riccamente.
Martin da Canal introduce la figura del doge, un sovrano cavaliere, abbigliato con sfarzo e sempre accompagnato dalla spada.
IV.
Ma voglio che conosciate la nobiltà dei dogi di Venezia; sappiate che messere il doge di Venezia porta corona e dovunque va si fa portare la spada, e gliela porta un gentiluomo; e nelle feste solenni messere il doge porta in capo una corona d'oro con pietre preziose e indossa una veste di drappo intessuto d'oro; e dov'egli va nelle feste solenni lo segue un giovinetto che porta un ombrello di drappo intessuto d'oro sopra il suo capo e lo segue sempre la spada, e gliela porta un gentiluomo.
Martin da Canal prosegue con i tributi che le città vicine fanno al doge, il vino dell’Istria, le monete d’argento donate dalle città della Schiavonia, la frutta offerta dai trevigiani, poi Martin inizia a narrare la storia della città ma a differenza dei cronisti precedenti sbriga velocemente il passato più antico: “Che dirvi? In principio ci furono i Troiani”, le città che vennero da loro edificate vissero felici “fino a quando un pagano venne al mondo” Attila.
Dopo aver trattato velocemente i due miti fondatori, Martin da Canal passa a raccontare ciò che gli sta a cuore: i fatti più recenti, quelli che certo determinarono una svolta nel ruolo politico di Venezia nello scacchiere europeo.
E dunque il centro della sua narrazione riguarda la IV crociata, che viene presentata con questa premessa: nell’anno 1202 i baroni francesi rivolsero al doge Enrico Dandolo la richiesta di armare per loro le navi per andare a liberare la Terrasanta. La risposta del doge sta nel brano successivo, in una sfavillante immagine di vele spiegate al vento.
XXXVIII.
Con grande gioia e con grande festa messere Enrico Dandolo s'imbarcò in una nave per passar il mare con i baroni di Francia, al servizio della santa Chiesa. E i baroni presero posto ciascuno nella propria nave e i cavalieri si imbarcarono nelle calandre e nelle altre navi in cui erano stati messi i loro cavalli. E quando furono in mare, i marinai drizzarono le vele al vento e lanciarono le navi per il mare a vele gonfie, a forza di vento.
Qualcosa viene a interrompere quel gran movimento di navi: una tempesta che sembra giunta a proposito per dare l'opportunità di infliggere una lezione a una città ribelle al dominio veneziano.
XXXIX.
Messere il doge andò tanto per mare che giunse a Zara con la sua compagnia. A quel tempo gli Zaratini erano così insuperbiti, che avevano respinto la signoria di messere il doge e facevano depredare i navigatori e avevano costruito le mura intorno alla città.
E il tempo s'era mutato e il mare era in tempesta, sicché toccò loro prender terra per salvare la flotta; e allora si recarono a Malconsiglio (che è un'isola situata proprio davanti a Zara).
E quando si furono messi in salvo nel porto, messere il doge disse ai baroni: - Signori, vedete là quella città: sappiate ché essa è mia, ma quelli di dentro sono così insuperbiti, che hanno respinto il mio comando. Voglio che m'attendiate qui, poiché voglio mostrar loro che ricompensa deve avere chi respinge il comando del suo signore. -[…] i Veneziani, non appena misero le scale alle mura e vi salirono, ne gettarono giù gli Zaratini e presero subito la città e ne cacciarono gli Zaratini e misero messere Enrico Dandolo in possesso di Zara.
Martin da Canal narra che subito dopo la presa di Zara il doge fece demolire le mura della città e fece entrare i francesi. “E là si trattennero tutto quell’inverno perché il mare era così agitato che non era possibile fare la traversata”. Tal notizia giunse al papa che era contrariato dall'arresto del viaggio e che voleva che proseguissero verso Gerusalemme; così fece loro sentire la sua volontà. Tuttavia un accadimento intervenne a cambiare anche la volontà del papa, secondo il racconto di Martin da Canal.
XLI.
[…] proprio allora era stato portato al papa un bambino di pochi anni, i cui parenti dissero al papa:
- Sire, questo bimbo è imperatore di Costantinopoli: i Greci sono così superbi, che non lo vogliono per signore. Egli vi chiede, come figlio a padre, che lo soccorriate e , che l'aiutiate a ricuperare il suo impero. -
XLII.
Disse allora messere il papa: - Il bambino sia benvenuto, e voi con lui. Egli discende dalla stirpe di Francia: e una grande armata di Francesi e di Veneziani si sta recando oltremare: ora sono bloccati in una città chiamata Zara, a causa del maltempo invernale, che non li lascia partire. Procediamo per il meglio; io manderò loro in messaggio che lascino la rotta di Gerusalemme e prendano quella di Costantinopoli e mettano questo bambino in possesso della sua città.
XLIII.
E quando messere il doge udì il comando di messere il papa, tenne consiglio coi baroni di Francia e coi nobili veneziani che erano con loro, e loro disse:
- Signori, qual'è la vostra opinione sul comando di messere il papa? -
Ed essi risposero che si sarebbero attenuti in tutto e per tutto al parere suo.
- Signori - fa il doge -, nessuno deve respingere l'ordine del papa, che è padre spirituale, anzi ognuno deve obbedirlo in tutto e per tutto. Io vi esorto a fare proprio come ci ha comandato. -
Ed essi s'accordarono tutti con magnanimità. E allora fanno venire il bimbo che era imperatore di. Costantinopoli; e quando egli fu giunto, messere il doge lo strinse tra le braccia.
XLIV.
Appena venuta la primavera, quando il mare si quetò e giunse la buona stagione, messere il doge lasciò Zara sotto buona guardia e salpò di là e si mise in mare con la flotta.
Il tempo era limpido e bello, e i marinai drizzarono le vele al vento e il vento, che era dolce e costante, diede nelle vele: ed essi volsero per il mare le navi e le galee, e procedettero tanto di giornata in giornata, che giunsero a Costantinopoli.
E messere il legato inviò alla città un messaggero, il quale disse che messere il papa comandava loro di ricevere il loro signore, che egli aveva condotto laggiù. Ed essi risposero che non ne avrebbero fatto nulla, né per il papa né per l'armata che era là giunta.
Martin da Canal ci fa dunque sapere che era stata la volontà del papa a farli deviare dalla rotta prestabilita e del resto i Veneziani erano ubbidienti e fedeli. Così insieme ai baroni francesi giunsero di fronte a Costantinopoli, trasportando il bimbo imperatore. Al rifiuto della città di obbedire, Martin da Canal ci racconta che il doge si adirò molto e in consiglio con i baroni francesi “s’accordarono di combattere la città poiché li ritenevano rinnegati e scomunicati dato che respingevano il comando di messere il papa. E immediatamente il doge comanda ai veneziani di preparare le navi. Allora, signori, se là foste stati a quel punto, avreste potuto vedere i Veneziani divenire carpentieri e armare le galee e le calandre”. Il doge allora parlò ai baroni francesi:
XLIV.
E il doge Enrico Dandolo disse ai baroni di Francia:
- Signori, questa città non può resisterci, per quante forze abbia dentro -.
XLVI.
Quando i baroni di Francia udirono ciò che messere il doge loro diceva e videro le macchine e le scale pronti, non misero tempo in mezzo, ma fecero uscire i cavalli dalle navi e dalle calandre; e quando furono a terra; montarono in sella, baroni e cavalieri, e si recarono sotto la porta: e allora messere il doge comanda che la battaglia cominci.
Ma quando le navi dei Veneziani furono arrivate, alla città, la battaglia cominciò dura e aspra, tanto che ciascuno doveva compiere un grande sforzo; ma alla fine i Veneziani salirono sulle mura e cominciarono a uccider Greci e a gettarli di sotto, di dentro e di fuori; e quando gli altri li videro che venivano scaraventati giù in quel modo, si diedero alla fuga,. e i Veneziani li inseguirono, e appiccarono il fuoco nella città in più luoghi.
XLVIII.
E non passò molto tempo che messere il doge inviò mille Veneziani dov'erano i Francesi, a dir loro che la città era presa e vi entrassero quando volessero. Che dirvi? Quando i Francesi udirono la notizia, non misero tempo in mezzo ma entrarono nella città; e allora fu domato. L'incendio.
Costantinopoli è presa, Martin da Canal ha narrato la prodezza dei Veneziani, di gran lunga superiore ai francesi, ora si devono decidere alcune cose: cosa farsene del finto imperatore e dei beni della città. Il passo seguente è cruciale nel percorso di legittimazione storica.
XLIX.
Mentre messere Enrico Dandolo, l'alto doge di Venezia, e i baroni di Francia si trovavano in possesso di Costantinopoli, il Murzuflo, che si faceva chiamare imperatore, fece implorare il doge e i baroni che gli perdonassero l'ira e il maltalento […] il doge udì ciò, disse ai baroni:
- Signori, quale la vostra opinione? -
Ed essi dissero: - Sia saccheggiata la città e spartito il denaro, perché sono traditori. -
-Signori disse messere il doge -, noi siamo della crociata, pertanto non dobbiamo depredare nessuno. Prendiamo il denaro che abbiamo speso e il bambino sia messo in possesso della sua città; e passiamo il mare e sia data battaglia ai pagani, come abbiamo promesso -.
L.
Che dirvi? Su questo parere si. accordano tutti. E il bimbo fu dato ai Greci ed essi giurarono sul Vangelo di tenerlo per signore. [...]
E fatto ciò, messere il doge chiese loro il denaro: e il Murzuflo disse che i Greci erano dispersi:
- e non possono raccogliere oro o argento finché voi siete nella città. -
E allora Francesi e Veneziani uscirono da Costantinopoli, e i Greci, che erano fuggiti, tornarono in città e fecero massacrare in un bagno il bambino che doveva essere il loro signore. E al momento in cui messere il doge e i baroni di Francia credevano di ricevere l'oro e l'argento, furono disingannati, perché i Greci dissero che non avevano nessuna paura di loro.
LI.
Quando i Francesi si videro imbrogliati in tal modo, si adirarono molto e dissero a messere il doge:
- Sire, i Veneziani presero la città senza il nostro aiuto: e noi 1a vogliamo prendere senza l'aiuto loro. -
[…] Ma quello scontro si concluse senza alcun vantaggio, perché i Francesi non erano abituati a salire su scale di navi; come lo erano i Veneziani: Ma il giorno dopo messere il doge radunò tutti i Veneziani e disse loro:
-Signori, non meravigliatevi se i Francesi non sono riusciti a prendere la città, poiché, pur essendo prodi ed esperti di guerra a cavallo e a piedi, non sono abituati a salire su scale di navi come lo siete voi: e so bene che siete di stirpe tale che nessun esercito che vi sta dentro può in alcun modo impedirvi di prendere questa città. E io vi prometto quant'è vero Iddio che spartirò tra voi il grande tesoro che vi è dentro.
Martin da Canal racconta dunque che c’è stato un tradimento: il finto imperatore aveva promesso del denaro e di conferire al bimbo, che i veneziani e i francesi avevano trasportato, gli onori che gli dovevano, invece l’aveva fatto uccidere. Veneziani e francesi erano in buona fede usciti dalle mura: dunque era giusto vendicarsi e spartirsi le ricchezze della città traditrice.
LIII.
L'indomani di buon'ora i Greci di Costantinopoli, preparate delle navi, vi appiccarono il fuoco e le spinsero a forza di vento e vele gonfie contro la flotta veneziana; ma i Veneziani furono abili e coraggiosi, e le fecero volgere altrove. E allora il nobile doge comanda di attaccare la cíttà nel punto più arduo, cioè alla torre del Virgiot. E allora i Veneziani si diressero da quella parte e la battaglia cominciò dura e aspra; e i Greci si difendevano molto bene e i Veneziani davano loro molto filo da torcere.
LIV.
Allora un Veneziano prese l'insegna di messer san Marco e balzò sulle mura di Costantinopoli, e gli altri Veneziani vi balzarono dietro a lui e presero la torre del Virgiot. E quando i Greci videro presa la torre e vi videro sopra l'insegna di messer san Marco, non misero tempo in mezzo ma si diedero alla fuga.
E allora í Veneziani balzarono tutti in terraferma, e i baroni di Francia accorsero coi loro cavalieri e abbatterono le porte di Costantinopoli e penetrarono a cavallo e a piedi, e la città fu subito presa interamente.
E allora il Murzuflo fu preso e fu fatto precipitare giù da una colonna in modo che si sfracellò a terra: ed era quel Murzuflo che si faceva chiamare imperatore e che aveva ucciso il bambino nel bagno e aveva compiuto tutto il tradimento. E messere il doge e i baroni di Francia spartirono l'oro e l'argento e diedero a ciascuno il suo.
LV.
Quando messere Enrico Dandolo, il doge di Venezia, e i baroni di Francia ebbero spartito i1 denaro, i baroni dissero al doge:
- Sire, prendete l'impero, poiché l'avete ben meritato. -
E il doge disse che non l'avrebbe fatto,
- ma sia imperatore uno di voi, e io conserverò benissimo la mia parte con voi.-
E allora fu eletto imperatore di Costantinopoli il conte di Fiandra. E a messere il doge fu data la quarta parte e mezza di. tutto l'impero di Costantinopoli; ed ebbe nella sua parte il patriarcato e tutto il porto e il mare e molti bei luoghi in terraferma; e fu chiamato signore della sua parte e così fu stabilito per bocca di messere il papa.
Nel secondo libro Martin da Canal oltre a narrare la successione dei dogi vicini a lui nel tempo, le loro imprese, dedica molto spazio a raccontare le feste civili, i rituali, le processioni, i costumi. Descrive inoltre l’elaborata procedura di elezione dei dogi, la scelta delle diverse rose di elettori e si sofferma sull’elezione di Lorenzo Tiepolo. L’immagine che ci restituisce Martin da Canal ripropone sempre il binomio doge e popolo, come fondativo della legittimità del potere.
Parte seconda
CXI.
Sappiate; signori, che il popolo veneziano aveva chiaro ricordo della nobiltà e della magnanimità di messer Jacopo Tiepolo, che era stato doge di Venezia, che era stato padre di messer Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia […]. E sappiate che quelli che fecero messer Lorenzo Tiepolo doge di Venezia ebbero la mano felice.
CXII.
Quando i quarantun uomini che dovevano eleggere il doge si furono accordati e fecero doge messer Lorenzo Tiepolo, dissero al vicario e ai consiglieri che avevano eletto il doge; e i consiglieri fecero immediatamente suonare le campane della chiesa di messer san Marco per adunare il popolo veneziano. E quando le campane furono udite per Venezia, tutto il popolo veneziano si recò nella chiesa: di messer san Marco, e mentre vi si recava la gente diceva:
- Messer Lorenzo Tiepolo è stato fatto doge! -,
e i bimbi dicevano la stessa cosa. Ma quando il popolo veneziano fu riunito nella chiesa di messer san Marco, quei quarantun nobiluomini.
Che avevano eletto messer Lorenzo Tiepolo doge di Veríezia salirono sul pulpito della chiesa; e allora messer Jacopo Baseggio disse molto saggiamente al popolo ciò che concerneva l'elezione che essi avevano fatta secondo il giuramento: e alla fine di queste parole disse che essi avevano eletto doge di Venezia messer Lorenzo Tiepolo.
E immediatamente messer Lorenzo fu preso e acclamato e gli furono strappati tutti gli abiti e fu condotto davanti all'altare di messer san Marco, e là egli fece il giuramento secondo i capitoli che gli furono comunicati da parte del cappellano di messee san Marco.
E poi il cappellano e messer Niccolò Michiel, il vicario, gli diedero il gonfalone di messer san Marco, tutto intessuto d'oro, ed egli lo prese. Ma, se là foste stati, signori, avreste potuto vedere folla e strafolla, festa e strafesta, gioia e stragioia.
E allora messere il doge salì nel Palazzo e fu messo in potere del dogado: e là egli fece il giuramento nei termini. che erano stati stabiliti, e là egli parlò, e poi venne, e parlò al popolo molto saggiamente; e fu approvato che fosse signore e doge sopra tutti: E i cappellani si recarono a sant'Agostino, dove si trovava madonna la dogaressa, e cantarono alla dogaressa le lodi dogali.
Martin da Canal narra ampiamente i cerimoniali in onore della dogaressa: “si recarono a Sant’Agostino dove si trovava madonna la dogaressa e cantarono alla dogaressa le lodi dogali”. Marin da Canal prosegue con la descrizione di tutte le arti che sfilano davanti al doge e alla dogaressa, presentando i loro omaggi, coppe di vino, suonate di trombe e di altri strumenti, canzoni. Il racconto si sofferma sui maestri fabbri, sui pellicciai, i sarti, i maestri dei drappi di lana e quelli dei fustagni di cotone, di quelli che confezionavano giubbe e colti, o di quelli che producevano drappi intessuto d’oro, seguiti dai merciai: ognuno mostrava le sue più belle creazioni e il doge ricambiava il saluto.
CXIV.
In primo luogo vi racconterò della sua magnanimità: infatti il giorno dopo che egli fu eletto doge di Venezia, mandò a cercare quelli che non erano in buoni rapporti con lui, e quando furono venuti li strinse tra le braccia e fece pace e assicurò loro la sua grazia e i suoi buoni intenti e li fece amici suoi. Ma voglio che sappiate della festa e strafesta che il popolo veneziano faceva per onorare il nobile doge messer Lorenzo Tiepolo. Gli uomini di tutte le arti si abbigliarono con molto sfarzo, ogni arte per suo conto, e si recarono a visitare il loro nuovo signore, messer Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia. E quando essi ebbero visitato messere il doge, tornarono indietro, e si recarono a visitare la loro signora -cioè madonna Marchesina, la nobile dogaressa -.
CXVI.
Come vi ho raccontato, gli uomini di tutte le arti prepararono il loro itinerario, ogni arte per suo conto; e voglio che sappiate in che maniera andarono a vedere il loro sire, e la loro signora. In primo luogo vi racconterò dei cittadini delle contrade, quelli di Torcello e delle altre contrade, che allestirono le loro imbarcazioni e vennero dal loro signore messer Lorenzo Tiepolo, l'alto doge di Venezia, e da madonna 1a dogaressa. E. sappiate che quelli di Murano avevano nelle loro imbarcazioni dei galli vivi, perché si riconoscesse chi erano e di dove venivano.
CXVII.
I maestri fabbri, con i loro inservienti, si riunirono. sotto un gonfalone ed. ognuno aveva una ghirlanda sul capo, e si misero in cammino, il gonfalone in testa, recando le trombe e altri strumenti, e avevano bravi capofila. In questo modo salirono a Palazzo e salutarono messere il doge e gli augurarono ciascuno vita e vittoria: ed egli rese loro il saluto e l'augurio di buona fortuna.
CXVIII.
I maestri pellicciai dell'opera selvatica indossarono preziosi mantelli di ermellino e di vaio e altre preziose pellicce selvatiche, e ornarono lussuosamente i loro inservienti. e vi racconterò come i maestri tessitori, che fanno e telerie e le tovaglie, si recarono a Visitare il loro signore e […] misero avanti piatti e trombe, coppe d'argento e anfore piene di vino; e si misero in cammino, guidati da bravi capofila, e se ne andarono cantando canzonette e cobbole su messere il doge, finché giunsero al Palazzo. Essi salirono la scala e vennero davanti a messere il doge, e lo salutarono cortesemente.
Facendo tal gioia; essi si recarono a visitare madonna la dogaressa e la salutarono come signora: ed ella rese loro subito il saluto.
Martin da Canal narra ampiamente i cerimoniali in onore della dogaressa: “si recarono a Sant’Agostino dove si trovava madonna la dogaressa e cantarono alla dogaressa le lodi dogali”. Marin da Canal prosegue con la descrizione di tutte le arti che sfilano davanti al doge e alla dogaressa, presentando i loro omaggi, coppe di vino, suonate di trombe e di altri strumenti, canzoni. Il racconto si sofferma sui maestri fabbri, sui pellicciai, i sarti, i maestri dei drappi di lana e quelli dei fustagni di cotone, di quelli che confezionavano giubbe e colti, o di quelli che producevano drappi intessuto d’oro, seguiti dai merciai: ognuno mostrava le sue più belle creazioni e il doge ricambiava il saluto.
CXIV.
In primo luogo vi racconterò della sua magnanimità: infatti il giorno dopo che egli fu eletto doge di Venezia, mandò a cercare quelli che non erano in buoni rapporti con lui, e quando furono venuti li strinse tra le braccia e fece pace e assicurò loro la sua grazia e i suoi buoni intenti e li fece amici suoi.
Ma voglio che sappiate della festa e strafesta che il popolo veneziano faceva per onorare il nobile doge messer Lorenzo Tiepolo. Gli uomini di tutte le arti si abbigliarono con molto sfarzo, ogni arte per suo conto, e si recarono a visitare il loro nuovo signore, messer Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia. E quando essi ebbero visitato messere il doge, tornarono indietro, e si recarono a visitare la loro signora -cioè madonna Marchesina, la nobile dogaressa -.
CXVI.
Come vi ho raccontato, gli uomini di tutte le arti prepararono il loro itinerario, ogni arte per suo conto; e voglio che sappiate in che maniera andarono a vedere il loro sire, e la loro signora. In primo luogo vi racconterò dei cittadini delle contrade, quelli di Torcello e delle altre contrade, che allestirono le loro imbarcazioni e vennero dal loro signore messer Lorenzo Tiepolo, l'alto doge di Venezia, e da madonna 1a dogaressa. E sappiate che quelli di Murano avevano nelle loro imbarcazioni dei galli vivi, perché si riconoscesse chi erano e di dove venivano.
CXVII.
I maestri fabbri, con i loro inservienti, si riunirono. sotto un gonfalone ed. ognuno aveva una ghirlanda sul capo, e si misero in cammino, il gonfalone in testa, recando le trombe e altri strumenti, e avevano bravi capofila. In questo modo salirono a Palazzo e salutarono messere il doge e gli augurarono ciascuno vita e vittoria: ed egli rese loro il saluto e l'augurio di buona fortuna.
CXVIII.
I maestri pellicciai dell'opera selvatica indossarono preziosi mantelli di ermellino e di vaio e altre preziose pellicce selvatiche, e ornarono lussuosamente i loro inservienti. e vi racconterò come i maestri tessitori, che fanno e telerie e le tovaglie, si recarono a Visitare il loro signore e […] misero avanti piatti e trombe, coppe d'argento e anfore piene di vino; e si misero in cammino, guidati da bravi capofila, e se ne andarono cantando canzonette e cobbole su messere il doge, finché giunsero al Palazzo. Essi salirono la scala e vennero davanti a messere il doge, e lo salutarono cortesemente.
Facendo tal gioia; essi si recarono a visitare madonna la dogaressa e la salutarono come signora: ed ella rese loro subito il saluto.
Prendono posto nella sfilata, tra le arti, anche i mestieri delle vittuarie. La rilevanza del tessuto artigiano e produttivo compare davanti al doge, componendo un’immagine della città in cui il potere politico e la sovranità sono bilanciati dalle diverse categorie sociali e dalla rilevanza del motore economico che da loro viene sviluppato. La bellezza dei tessuti, delle goie, la felicità della musica disegnano un universo di colori, profumi e suoni che fa grande la città.
CXXX.
Avete udito in che maniera quelli che vendono la carne salata e il formaggio si recarono a visitare il loro nobile signore, e vi racconterò di quelli che vendono gli uccelli di palude e i pesci di mare e di fiume. Essi misero in testa il gonfalone, le trombe e gli altri strumenti, le ricche coppe d'argento e le anfore piene di vino, e si adornarono preziosamente di ricchi drappi, foderati di vaio.
E sappiate, signori, che doveva ben essere nel ricordo di messer Lorenzo Tiepolo, il nobile doge di Venezia, quando vide la compagnia di quelli che vendono il pesce, che egli aveva fatto acquistare da loro molti bei storioni e trote e altri grandi pesci.
CXXXIII.
Avete udito come i maestri vetrai si recarono a visitare il loro nuovo sire e la loro nuova signora, e vi racconterò come i maestri che fanno i pettini si recarono a visitare il loro signore.
Sappiate, signori, che quei maestri pettinai avevano con loro una lanterna piena d'uccelli di diverse speci: e per divertire messere il doge aprirono lo sportello della lanterna, e quelli uscirono tutti fuori e se n'andarono volando di qua e di là a loro piacere.
E se là foste stati, signori, avreste potuto veder ridere da ogni parte, ché per quanto si gridasse non s'impedì certo a ciascuno degli uccelli di tenere il suo volo.
Sappiate: che messere il doge fu messo al potere del nobile dogado veneziano un lunedì, e fino alla domenica il popolo veneziano non fece altro che andare a visitare il suo sire e la sua signora, nella maniera che vi ho raccontato.
Nota:
Per le esigenze della lettura teatrale i testi sono stati elaborati con libertà, i brani sono stati abbreviati e la lingua è stata normalizzata all'uso odierno.