La Libreria Sansoviniana

Biblioteca Marciana newsletter

numero 1 - estate 1998

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La Libreria Sansoviniana

L'edificio della Libreria, opera di Jacopo Sansovino, fu eretto dal 1537 al 1553, limitatamente alle prime sedici arcate. L'opera di decorazione si protrasse fino al 1560. Nel 1588 Vincenzo Scamozzi intraprese la costruzione delle ultime cinque arcate verso il molo. La costruzione è a un solo piano, oltre al terreno.

Le arcate del piano terreno sono di odine dorico; sopra, una trabeazione dorica alterna triglifi e metope; sopra ancora si apre l'ordine ionico del loggiato, sovrastato a sua volta da un ricco fregio in cui si susseguono putti e festoni di fiori e frutta. La biblioteca in ina incisione di Canaletto
Nei sottarchi, una ricca decorazione scultorea. Sul coronamento, una balaustra sormontata da statue di divinità classiche, opera di Alessandro Vittoria e di altri noti artisti. Dal portale, ornato da due cariatidi ideate dal Vittoria, si accede ad uno scalone decorato da stucchi del Vittoria e da pitture di Battista Franco e Battista Dal Moro.

All'interno della Libreria si accede per una nobile scala a due rampe, con soffitto a volta e ripiani a cupola. Nei riquadri della volta e nelle cupole dei pianerottoli si alternano rilievi a stucco, dovuti ad Alessandro Vittoria, e affreschi di Battista Franco (nella prima rampa) e di Battista del Moro (nella seconda).
L'opera risale ad anni intermedi tra il 1553 (data che si è di recente trovata incisa in un riquadro) e il 1559; quindi anteriore alla Scala d'Oro di Palazzo Ducale. Vi si esprime un complesso disegno iconografico, che allude ad un processo ascensionale dello spirito, in una prospettiva neoplatonica; l'uomo condizionato dai pianeti e dagli elementi (prima rampa), giunge attraverso l'esercizio della virtù (seconda rampa) alla sapienza, raffigurata al culmine della scala, con il libro e il cerchio, simbolo dell'eternità.

Lungo la scala sono collocate sei colonne romane di marmi rari, provenienti dalla Basilica di S. Maria in Cannedolo di Pola. Al primo piano si nota nell'andito, a sinistra, uno dei rarissimi esemplari rimasti della magnifica veduta di Venezia a volo d'uccello di Jacopo de' Barbari (anno 1500), capolavoro d'arte e insieme riproduzione, di assoluta precisione, della reale forma della città.
Le rilevazioni e l'incisione furono eseguite da una squadra di tecnici, organizzata dal mercante tedesco Anton Kolb. Il pittore Jacopo de' Barbari curò la decorazione. Nella cupola del soffitto, stucchi e riquadri raffiguranti la musica, allusione all'armonia. Il Vestibolo venne concepito dal Sansovino come sala destinata a lezioni di materie umanistiche, rivolte a patrizi e cittadini.

Nel 1587 il patriarca di Aquileia Giovanni Grimani decise di donare alla Repubblica la sua raccolta di statue e rilievi antichi, soprattutto greci; e il luogo prescelto per riporre la preziosa collezione fu il Vestibolo, che venne così trasformato - su disegno del patriarca stesso e di Vincenzo Scamozzi - in Museo Statuario della Repubblica. Nella sala trovarono una pittoresca collocazione circa duecento pezzi marmorei, sistemati in modo da ricreare una sorta di foro antico.
Nel 1811, per volontà napoleonica, la sala fu sgomberata. Oggi rimangono sul posto solo pochi pezzi, tutti di arte romana. Gli altri sono conservati al Museo Archeologico di Venezia. Attraverso un nobile portale si accede alla sala della Libreria, il vero cuore dell'edificio, costruito appositamente per ospitare la raccolta libraria della repubblica.

Tale raccolta era costituita allora dalla biblioteca del cardinale Bessarione, da lui donata a Venezia nel 1468. I suoi preziosissimi codici (circa mille, in buona parte greci) vennero qui collocati nel 1560; nel periodo di attesa, tra la donazione e l'apertura al pubblico della Libreria, essi erano stati conservati nel Palazzo Ducale e poi nella Chiesa di S. Marco.
Il soffitto venne ornato di pitture tra il 1555 e il 1559: una decorazione a grottesche, su fondo oro, dovuta a Battista Franco e ventuno tondi, opera di sette diversi pittori, i più moderni del momento. Interno della Libreria Vecchia.Interno della Libreria Vecchia

I primi tre tondi (a partire dall'ingresso), quelli di Giovanni De Mio detto Fratina sono i più lontani dalla pittura tradizionale veneziana, sia per la prevalenza del disegno, sia per il colore bruno e freddo. Giuseppe Porta detto il Salviati (seconda sequenza di tondi) e Battista Franco (terza sequenza di tondi) appaiono legati alla loro formazione romanistica. Giulio Licinio (quarta terna di tondi) subisce l'influenza di Tiziano e quella del Franco. Giovanni Battista Zelotti (quinta sequenza di tondi) tenta di misurarsi con il Veronese, ma questi (penultima sequenza di tondi) trionfa con la felicità dei suoi colori con cui, come scrive il Ridolfi "secondò la gioia, rese pomposa la bellezza, fece più festevole il riso".

La fluidità cromatica di suggestione tizianesca degli ultimi tre tondi di Andrea Meldolla detto lo Schiavone chiude il ciclo, il cui disegno iconografico richiama da una parte le possibili attività che si aprono al patrizio o al cittadino al servizio della Repubblica, dall'altra le discipline che rappresentano gli elementi costitutivi del sapere.
Due tondi, rovinati dalla pioggia, furono rifatti nel 1635: sono quelli del Padovanino e di Bernardo Strozzi. Gli artisti del soffitto, che erano stati scelti dai Procuratori di San Marco, d'accordo col Sansovino e con Tiziano, dichiararono unanimi che il migliore tra loro era stato il Veronese; e i Procuratori donarono a quest'ultimo, in segno di gratitudine, una catena d'oro: così narra il Ridolfi, che vide la catena in casa di un nipote del Veronese.

Alle pareti vennero collocati, tra il 1562 e il 1572, numerosi ritratti di antichi Filosofi per ricreare un ambiente simile a quello delle biblioteche dell'antichità. A questo ciclo partecipò anche il grande escluso dal ciclo del soffitto, Tintoretto, che peraltro era già stato attivo nella decorazione del Vestibolo, con tele oggi disperse in varie collezioni.
I due Filosofi al lato del portale sono di Paolo Veronese. Sulla sinistra, i primi due sono dello Schiavone. Seguono quattro Filosofi di Tintoretto (il più ammirato di essi era un tempo Diogene, il penultimo della parete). Del Tintoretto sono anche i due sulla parete di fondo (ma per quello di destra vi sono incertezze).
Sulla parete destra, verso la piazzetta: La Fede, di Benedetto Caliari; Prometeo, di Giuseppe Porta detto il Salviati (ma la testa rifatta da Pietro Vecchia); un Filosofo del Salviati; uno del Franco; uno di Lambert Sustris; La Carità di Benedetto Caliari.