Le funzioni
La Zecca, trasferita dall'area rialtina a San Marco sin dal 1277, era una cruciale istituzione dello Stato veneto che svolgeva due funzioni fondamentali nell’economia veneziana: fornire moneta circolante universalmente riconosciuta, condizione base per lo sviluppo di una società mercantile, e alimentare una fonte di entrate per lo Stato attraverso l'attività monetaria. La coniazione dell’oro era infatti assai redditizia: nel 1285, rendeva già allo Stato un utile netto del 2,2% rispetto alle spese per la materia prima.
La Zecca svolgeva anche la funzione di Cassa di deposito per i cittadini e le istituzioni veneziane. Aveva, quindi, le funzioni di una vera e propria banca, da qui la proverbiale espressione “aver i schei in Zeca” come indicazione di massima sicurezza economica.
La Zecca ospitava non solo le officine per la fabbricazione delle monete, ma anche tutti gli uffici preposti al controllo della circolazione del denaro, tra questi si ricordano:
- Ufficio dei Provveditori sopra Ori e Monete (poi Deputati sopra Ori e Monete) che seguiva la valutazione dell’oro per controllare ed eventualmente intervenire sul prezzo del metallo e il valore delle monete.
- Ufficio dei Camerlenghi del Comun, che sovraintendeva alla riscossione dei tributi, e che, oltre alla sede ufficiale a Rialto e aveva il proprio ufficio in Zecca.
- Ufficio del Depositario, che sovrintendeva al controllo del “tesoro” dello stato conservato in Zecca, ma anche alla custodia e alla gestione dei depositi dei privati cittadini, delle associazioni private e delle istituzioni religiose (Ordini, conventi,etc.).
Al controllo delle attività della Zecca, dal secolo XIII, era preposta la “Quarantia”, un organismo della Repubblica, in origine (1179) composto dai quaranta elettori del Doge. Nel sec. XIV il controllo passò al Consiglio dei Dieci e in fine nel ‘500 furono create delle cariche specifiche per le varie funzioni necessarie al governo della Zecca e al controllo della politica monetaria.
La Zecca veneziana continuò ad operare anche dopo la caduta della Repubblica, pur se con compiti minori (medaglie commemorative, etc.) sino al 1870.
Nel 1872 l'edificio fu destinato a sede della Camera di Commercio e infine nel 1904 fu assegnato alla Biblioteca Nazionale Marciana.
La più nota moneta veneziana: il Ducato d’oro o Zecchino
La moneta veneziana più conosciuta, emessa dal 1284, inizialmente chiamata Ducato (da Doge), era una moneta d’oro con lo stesso peso e titolo (proporzione tra metallo puro e lega) del fiorino fiorentino. Il Ducato d’oro prese in seguito (sec.XVI) il nome di zecchino, nome derivato proprio dall’essere prodotto in Zecca.
Data poi la sua purezza quasi perfetta (oro al 997/1000) la moneta diede anche il nome all’oro puro detto, quindi, “oro zecchino”.
Nel dritto della moneta vediamo San Marco donare al Doge inginocchiato lo stendardo, nel rovescio compare la raffigurazione di Cristo in un ovale (mandorla) circondato da nove stelle.
Lo Zecchino rimase immutato nella forma dalla prima emissione sotto il Doge Giovanni Dandolo (1284) all’ultima (1797) sotto il Doge Lodovico Manin alla fine della Repubblica.
La struttura
Oltrepassata la porta di entrata, l’organizzazione dello spazio al piano terra era così compartita: sulla destra si aprivano le officine per la fabbricazione delle monete, mentre a sinistra, nei locali prospicienti la laguna, erano disposti i magazzini e le fornaci a sinistra. Attorno al cortile si svolgevano tutte le attività di conio.
In particolare, nell’attuale sala manoscritti del pianterreno era situata la fonderia, dove venivano affinati e poi raffreddati i metalli.
Si affacciavano sul cortile le varie “botteghe” che trasformavano i lingotti in tondelli per le monete mediante l’utilizzo di varie macchine (laminatoi, presse, fornaci), tra queste:
- la bottega per la creazione dei tondelli con fornace e un’enorme ruota azionata a mano, che dava moto alle trafile per produrre le lamine dai lingotti (corrispondente all’attuale saletta dei terminali per la consultazione dei cataloghi on line);
- la bottega per l’imbiancamento dei tondelli (corrispondente alla prima parte della attuale sala cataloghi);
- la bottega per la cordonatura delle monete (corrispondente alla seconda parte della sala cataloghi, dietro la statua del Petrarca);
- la bottega del fabbro, con annessa fornace, (attuale ufficio dietro al zona cataloghi);
- la bottega per il conio delle monete.
Qui il lavoro era effettuato meccanicamente con i torchi a bilancere, che col passare del tempo avevano sostituito le operazioni di coniatura manuale (attuale ufficio del prestito interbibliotecario);
Un esemplare di torchio, datato 1756, è esposto all’Ufficio orientamento. - Ovviamente, per motivi legati alla funzionalità del lavoro, le botteghe subirono vari riposizionamenti nel tempo, i dati qui riferiti si riferiscono al periodo attorno al 1750
Gli Scrigni
Al primo piano, verso la laguna, c’erano gli uffici del Maestro della Zecca, del cassiere, del controllore, etc. Su questo piano, distribuiti in varie stanze, c’erano dodici forzieri per la custodia delle barre di metallo prezioso, ognuno col nome di un apostolo.
Quattro di questi forzieri sono ancora oggi conservati all’interno della vecchia “cella” della Zecca, detta anche “prigione dell’oro” o “deposito delle paste”, oggi chiamata “stanza degli scrigni”.
Una stanza chiusa da muri e volte poderose in blocchi di pietra d’Istria, un vero forziere di pietra a cui si accede da una stretta porta di metallo e al cui interno i quattro grandi scrigni in legno, rinforzati da barre di ferro, ancora custodiscono antichi cimeli della Biblioteca.
Tre di questi scrigni imponenti conservano ancora le complicate serrature dell’epoca (sec. XVII-XVIII).
Per saperne di più:
Alan M. Stahl, La Zecca di Venezia nell'età medioevale, Roma, Il Veltro, 2008
Manuela Morresi, Jacopo Sansovino, Milano, Electa, [2000]
Manfredo Tafuri, Jacopo Sansovino e l'architettura del '500 a Venezia, fotografie e design di Diego Birelli, Padova, Marsilio, 1969