Venezia nelle fotografie di Carlo Naya della Biblioteca Vallicelliana

Versione online del catalogo a stampa
a cura di Alberto Manodori Sagredo

Presentazioni

Maurizio Fallace - Direttore Generale per i Beni Librari, gli Istituti Culturali e il Diritto d'Autore

Molti e preziosi sono i fondi fotografici, custoditi nelle biblioteche pubbliche statali, i quali, grazie ad una continua opera di promozione e valorizzazione, sono sempre più conosciuti ed apprezzati sia dagli studiosi che dal grande pubblico, per il loro valore storico, culturale, artistico e documentario.

In questo catalogo della bella mostra organizzata, a quattro mani, dalla Biblioteca Marciana di Venezia e dalla Biblioteca Vallicelliana di Roma, due delle biblioteche monumentali d'Italia, è stata presentata una ricca serie di fotografie, eseguite dal 1860 circa al 1900, da Carlo Naya, il grande fotografo vedutista dell'Ottocento italiano e dal suo atelier, che s'affacciava su piazza San Marco e a Campo S. Maurizio.

La bellezza e l'originalità delle riprese di Naya sono ben conosciute dagli storici e dai critici della fotografia di tutto il mondo e diversi studi sono stati pubblicati su di lui, ed è in questa prospettiva che le fotografie all'albumina della Biblioteca Vallicelliana sono state portate ed esposte a Venezia nella Biblioteca Marciana.

Ma un capitolo, altrettanto importante, segna il ruolo che Carlo Naya ha avuto nella storia della fotografia, cioè quello di aver ottenuto, per primo in Italia, il riconoscimento, dopo un processo vittorioso, della "autorialità" delle sue fotografie, fondando così, riconosciuto da una sentenza, il diritto d'autore fotografico alla fine dell'Ottocento.

Questa Direzione, pertanto, non solo promuove ma partecipa a pieno titolo alla mostra e al catalogo, non solo per la competenza bibliografica che le è propria, ma anche in virtù dell'opera di difesa e promozione del diritto d'autore.
Infine piace sottolineare che in questo volume appaiono consistenti contribuiti di due neolaureate all'Università di Roma, Tor Vergata, cosa che definisce il ruolo degli studenti nella valorizzazione del grande patrimonio dei beni culturali e di quelli librari in particolare, nei quali la fotografia occupa sempre più uno spazio di assoluta importanza storica.

Letizia Sebastiani - Direttore Biblioteca Nazionale Marciana

Venezia, fin dalla nascita della fotografia, è stata la città più fotografata del mondo: le vedute dei fotografi presero ben presto a gareggiare con guazzi e acquerelli, proponendo una cartolina-souvenir, che non aveva eguale, per chiarezza e precisione fisionomica.

La Biblioteca Nazionale Marciana, che della memoria veneziana è antica e attenta custode, non conserva soltanto manoscritti, volumi a stampa antichi e moderni, incunaboli, cinquecentine e carte geografiche di rara importanza culturale e storica: nei suoi depositi si trovano anche - oltre ad una vasta fototeca, che conta migliaia di riproduzioni della fine dell'Ottocento e del Novecento, e a molte antiche lastre in vetro - alcuni album fotografici costituiti principalmente da albumine incollate su carta e rilegate insieme, che riproducono paesaggi, vedute e personaggi italiani (come le 25 fotografie del castello di Miramare) e non (come le fotografie della Turchia, della Persia e di Malta).

Tra i fondi archivistici, che l'Istituto conserva, un posto particolare spetta al Fondo Mariutti Fortuny, generosamente donato nel 1971 alla Biblioteca da Angela Mariutti de Sánchez Rivero (che a sua volta l'aveva ricevuto in dono da Henriette, consorte di Mariano), archivio privato composto di lettere, minute, ritagli di giornali, schede, campioni di stoffe, disegni, stampe, brevetti e fotografie.
Questa documentazione di alta qualità è legata alla multiforme attività di Mariano Fortuny, che fu pittore, scenografo, allestitore di mostre, fotografo, decoratore di ambienti, creatore di tessuti eseguiti con procedimenti speciali e inventore di particolari e arditi procedimenti tecnici.

Un fondo a sé è costituito dalle 194 fotografie in bianco e nero, di tema veneziano, opera del fotografo Carlo Naya, conservate in 2 cassette di legno, depositato nel 1880 dal fotografo stesso alla Biblioteca. Le fotografie, che riguardano immagini di quadri antichi presenti in chiese e gallerie per la maggior parte di Venezia, sembrano più interpretazioni del fotografo che riproduzioni d'arte figurativa.
Per ogni immagine ci sono 2 stampe, delle quali una riporta oltre al nome del fotografo e il numero di catalogo originale del Naya, anche l'autore del dipinto con la data di nascita e morte, il titolo dell'opera e la provenienza.

È pertanto con grande favore che la Biblioteca Marciana ha accolto la proposta della Biblioteca Vallicelliana di Roma di ospitare nei locali della Libreria Sansoviniana una mostra di fotografie di tema veneziano del Naja, provenienti dall'Archivio Fotografico della Vallicelliana.

La mostra di indubitabile valore artistico e documentario ben si inserisce nello spirito di collaborazione e cooperazione che da sempre lega gli istituti afferenti al Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel nome della valorizzazione di uno dei più importanti e preziosi patrimoni culturali del mondo.

Si ringraziano vivamente il Direttore Generale per i beni librari, gli istituti culturali e il diritto d'autore e il Direttore della Biblioteca Vallicelliana di Roma, Maria Concetta Petrollo Pagliarani, per aver scelto Venezia quale sede di un evento tanto significativo, e il curatore Alberto Manodori Sagredo.

Si ringrazia infine il personale tutto della Biblioteca Marciana che ha sorretto l'iniziativa, e in particolare Annalisa Bruni che, con la collaborazione di Mariachiara Mazzariol, ha curato l'ufficio stampa, Mirella Canzian e Silvia Pugliese che hanno allestito la parte marciana della mostra.

Maria Concetta Petrollo Pagliarani - Direttore della Biblioteca Vallicelliana

Sono particolarmente lieta di presentare il catalogo, curato dal Prof. Alberto Manodori Sagredo, dell'esposizione Le fotografie veneziane di Carlo Naya allestita con materiale tratto dall'archivio fotografico della biblioteca Vallicelliana e catalogato dalla dott. Teresa Devito.

L'occasione è davvero importante giacché porta a compimento una delle missioni istituzionali della biblioteca pubblica: fornire agli studiosi gli strumenti per la ricerca e lo studio nelle specializzazioni intorno a cui si sono andati aggregando e stratificando nel tempo, nella mappa storico - geografica della memoria culturale italiana, i fondi bibliografici e documentari.

Lo studio, in questo caso, è avvenuto all'interno dell'importante archivio fotografico della biblioteca: un complesso di circa 12500 documenti, creati dai più noti fotografi del XIX e XX secolo, ritraenti una grande varietà di soggetti, di occasioni e di paesi, catalogati e consultabili anche in rete locale.
Da segnalare sono le foto stereoscopiche (più di 3.000) di famosi fotografi come Giorgio Sommer, Giulio Brogi, Giorgio Conrad, o di grandi ditte attive tra '800 e '900 come la Neue Photographische Gesellschaft di Berlino o la Underwood & Underwood di New York. Particolarmente significative sono le stereoscopiche su vetro appartenenti al Fondo Navone e alcune rare diaphanostereoscopie di soggetto ludico, grottesco o storico, colorate a mano sul verso.

All'interno di questa rassegna la sezione dedicata alla città di Venezia è piuttosto consistente, oltre 500 documenti; fra questi le fotografie firmate o attribuibili a Carlo Naya (1816 -1882) si impongono allo sguardo con l'ampio razionale respiro della loro prospettiva aerea - memorabili, per esempio, Il Molo della Chiesa della salute e il Panorama del Canal Grande - o per i più rari momenti di verismo romantico folkoristico, si vedano, fra gli altri, la Bissona Veneziana - L'egiziana, Il Canale di san Giuseppe e l'Isola delle Vignole vista dalla parte di Lido.

Ma lasciamo agli storici il compito di situare il nostro autore fra la fine del vedutismo settecentesco e i prodomi del verismo fotografico. A noi il compito di salvaguardare e tramandare la sua arte utilizzando anche gli strumenti della riproducibilità, in questo caso impliciti allo strumento adoperato, di cui il nostro catalogo vuole fornire un piccolo e ragionato contributo.

Introduzione

La pianta prospettica di Venezia, cromolitografia del 1850 circa, è fotografata da Carlo Naya, come se la ripresa fosse eseguita dall'alto, da una mongolfiera, più che a volo d'uccello, da un'altezza per quei tempi impossibile da raggiungere. Infatti tutta la città è compresa nell'inquadratura, con la Giudecca, l'isola di San Giorgio e quella di Murano, mentre sullo sfondo si delineano le Alpi, la Marmolada e le Dolomiti. Non si tratta quindi di una fotografia dal vero, ma di un'opera delle arti figurative, riprodotta fotograficamente.

La fotografia non era nuova, nella seconda metà dell'Ottocento, a queste soluzioni, allo stesso modo infatti aveva risolto la riproduzione della piazza di San Pietro in Roma, con l'intero portico berniniano e la vista della basilica vaticana con la grande cupola michelangiolesca, appunto fotografando un disegno di poco anteriore.

Anche diverse scene di combattimenti, avvenuti in conflitti che avevano segnato la storia d'Europa, erano stati riportati in fotografia, riprendendo disegni già noti, per esempio alcune battaglie napoleoniche e financo la partenza dei Mille da Quarto. Non era contraddittorio quindi per la fotografia, e per il fotografo, fotografare non la realtà vera, la scena del mondo, ma la sua raffigurazione delineata dalla mano di artisti, che s'erano serviti della matita o del pennello o del bulino.

Anche nella ritrattistica, dopo l'invenzione di Disderi, nelle carte de visite ritroviamo i ritratti fotografici di sovrani, principi e personaggi famosi, come i ritratti disegnati di quegli illustri, che di sé non avevano potuto lasciare alcuna immagine fotografica.

È quindi da osservare che tanto il fotografo non si peritava di mettere insieme riprese fotografiche dal vero con quelle di immagini della più antica tradizione figurativa, quanto l'osservatore di tutte queste, il fruitore, non si meravigliava di ammirare la fotografia riproducente quanto si era offerto, realmente, all'obbiettivo della macchina fotografica, come ciò che era derivato da altra opera preesistente.

Pur nella differenza del livello di verità le due dimensione della raffigurazione fotografica convivevano senza problemi, alla luce di una maturità di giudizio, sia del fotografo che dell'osservatore, che forse oggi, andata perduta con il perfezionamento della tecnologia fotografica e con la convinzione che la fotografia sia legata unicamente alla realtà viva del mondo, è stata recuperata prima dalle avanguardie sia delle arti che della fotografia e oggi dalle possibilità della digitalizzazione.

Certo nei giorni nostri tutto è concettualmente e non solo tecnologicamente più complesso, ma proprio in immagini riproducenti disegni altrui possiamo rintracciare le radici che conducono al dibattito sulla verità dell'immagine fotografata. Così s'apre il fondo veneziano di fotografie all'albumina, opera di Carlo Naya e del suo atelier, conservato nell'Archivio Fotografico della Biblioteca Vallicelliana a Roma, insieme ad altri fondi, non meno preziosi, agli antichi manoscritti miniati, al grande patrimonio librario di storia della Chiesa, che orna e arricchisce il salone Monumentale disegnato da Francesco Borromini per i padri oratoriani, istituiti da San Filippo Neri.

Le altre immagini di Venezia, che qui sono pubblicate, fanno parte del più ricco catalogo di Carlo Naya, messo insieme nel corso della sua attività, dove appare, ben delineata, la sua qualità di vedutista per la precisione e l'equilibrio dei volumi che occupano lo spazio dell'inquadratura, per il gioco alternato di ombre e luci, che danno non solo corpo a quanto vediamo, ma gli restituiscono la necessaria profondità di campo e quindi permettono una maggiore e più convincente percezione della realtà materiale dei luoghi della città

Nelle fotografie più antiche Carlo Naya, come gli altri fotografi, non può riprendere il movimento continuo delle onde della laguna, sia davanti al bacino di San Marco che nei rii della città, come nel Canal Grande. Tutto questo fa sì che le acque risultino come un lucido specchio, immobile, dal sapore quasi metafisico, dove, se il fotografo desisteva dall'intervenire con il ritocco, ne risultava un più alto spessore di quella realtà di sogno ad occhi aperti, che per tanti turisti, e non solo, caratterizza ancora oggi l'identità romantica di Venezia.

Non manca nelle fotografie di Naya la presenza, cosiddetta "animata", delle persone, che tra il 1860 e il 1870 sempre più l'emulsione e l'ottica fotografica riuscivano a fissare meglio se in posa, ad osservare il lavoro del fotografo, ma, talvolta e non raramente, anche di passaggio, ad animare appunto il campo, la calle o piazza San Marco.

L'animazione fotografica interviene nella fotografia dopo la metà dell'Ottocento e preannuncia il movimento del cinema, cioè risponde alla richiesta del pubblico di osservare non solo il luogo, ma chi lo vive e lo abita, che è segno particolare di quella sola realtà.

Venezia in quegli anni viveva del ricordo del suo splendore, tanti palazzi del patriziato cadevano in un progressivo abbandono, mentre si inauguravano i primi grandi alberghi e il turismo borghese cominciava a organizzare il viaggio a Venezia, sia quello nuziale che quello di visita culturale e artistica alla più bella città d'arte del mondo.

Ma nei sestieri popolari, nelle calli solitarie la povertà era evidente e questa non appare nelle fotografie vallicelliane di Naya, che privilegiano la Venezia monumentale e quella caratteristica, dove il folclore è solo accennato, mentre è la città, che con la varietà, ma anche l'uniformità, dei suoi angoli, delle sue prospettive, delle sue calli e dei suoi rii, dei suoi campi e di piazza San Marco si rivela affascinante e invitante.

Carlo Ponti, che ebbe poi vicende varie con Carlo Naya, come ci racconta in questo catalogo Valeria Palombini, o Antonio Perini fissarono i costumi popolari dei mestieri ambulanti veneziani, quelli delle cinquecentesche e seicentesche grida di strada, ma i turisti, affascinati e catturati dalla magia della Serenissima, preferivano chiedere a Carlo Naya, come agli altri fotografi, immagini souvenir di Venezia, albumine nei più diversi formati e album, di lusso o più modesti, dove apporle e anche fotografie steroscopiche della città, per rivivere così pienamente l'emozione della visita.

Da ammirare sono infine le immagini con le barche da pesca e da trasporto, i bragozzi, non solo quelle con le gondole, perché in esse si riverbera l'ultimo, inscindibile legame della Serenissima con il mare, di cui fu dominatrice per secoli, fino alle lontane terre dell'Asia Minore.

Le ultime fotografie, pur siglate Carlo Naya, mostrano la Venezia successiva alla sua morte (1882), con i grandi alberghi del Lido, gli stabilimenti balneari e il tram. Queste immagini vallicelliane confermano il debito di eredità che la fotografia veneziana deve a Carlo Naya, maestro della fotografia dei viaggiatori, ma anche attento osservatore e innamorato dell'immagine e dell'identità della sua Venezia.

Alberto Manodori Sagredo

Bibliografia

  • Becchetti P., Fotografi e Fotografia in Italia 1839 - 1880, Roma, Ed. Quasar, 1978
  • Costantini P., L'immagine di Venezia nella fotografia dell'Ottocento, Milano, 1985
  • Costantini P., Zannier I., Venezia nella fotografia dell'Ottocento, San Vito di Cadore, Ed. Dolomiti,1988
  • Manodori Sagredo A., Venezia e la fotografia stereoscopica, Mariano del Friuli (CO), Edizioni della Laguna, 2003
  • Manodori Sagredo A., Fotografia. Storie, generi, iconografie, Bologna, Bononia University Press, 2006
  • Ritter D., Ottocento. Immagini di Venezia 1841 - 1920, Venezia, Ed. Arsenale, 1994
  • Zannier I., Venezia, Archivio Naya, Venezia, Böhm Ed., 1982
  • Zannier I., Storia e Tecnica della fotografia, Bari, Laterza Ed., 1984
  • Zannier I., Sublime fotografia. Il Veneto, una breve storia, Venezia, Cotbo e Fiore, 1992
  • Zannier I. (a cura di), Venezia al chiaro di luna, Maniaco, CRAF, 1995

Carlo Naya (1816- 1882) ( 1 )

“IN PRESSOCCHÈ TUTTI I PAESI DEL VENETO SI TROVANO FOTOGRAFI – annotava Antonio Errea in un suo compendio del 1870 – MOLTO GUADAGNO NE RICAVANO, ED È GRANDE LO SMERCIO ANCHE ALL’ESTERO[…]SONO PURE DEGNI DI PARTICOLARE MENZIONE I LAVORI  OTOGRAFICI DEL NAYA, E SI MERITANO LODI DA  GIORNALI DI ARTE E DI INDUSTRIA, PER ESECUZIONE E PELLA SCELTA DELLE COSE FOTOGRAFATE[…]” ( 2 )

Le cose fotografate erano i palazzi, le opere d’arte, le vedute veneziane, e le scene di genere folkloristiche, ovvero i soggetti generalmente preferiti ovunque dai fotografi, e destinati al grande mercato che la fotografia aveva ormai conquistato, ma Naya sapeva scegliere con particolare cura e descriverli con singolare accuratezza tecnica.

Carlo Naya, però, non si era limitato a svolgere un lavoro artigianale da piccola bottega d’arte ma, come gli Alinari, aveva rapidamente ampliato l’atelier assumendo parecchi aiutanti sia per i lavori esterni che per quelli di laboratorio ed editoriali, al punto che l’Errea non poté esimersi dal dire che “una lode deve essere fatta a chi (Naya) trasformò questa arte in una industria importante pur conservandole carattere estetico” ( 3 )

Carlo Naya (o più esattamente, NAJA, come risulta nell’atto di battesimo) non era però veneziano
essendo nato a Tronzano Vercellese il 2 agosto del 1816. La sua famiglia era benestante e fu quindi avviato agli studi universitari, insieme al fratello, nella facoltà di Giurisprudenza di Pisa tra il 1837 e il 1840, sostenendo l’ultimo esame per il Dottorato in Sapienza ( 4 )

Alla morte del padre, avvenuta nel 1840, Carlo Naya rientrava a Tronzano e con i soldi dell’eredità, che dovette essere cospicua, partì insieme al fratello per un lungo viaggio dapprima in Italia, studiando nei musei, nelle gallerie e nelle pinacoteche i capolavori dell’arte, successivamente visitando le principali città in Europa, recandosi poi in alcuni paesi del bacino mediterraneo, attratto anche dall’archeologia e dall’arte islamica.

Carlo Naya insieme al fratello si insedia così a Pera, un quartiere centrale e vivacissimo di Costantinopoli (odierna Istanbul), dirimpetto all’ambasciata di Russia, sulla Grande rue de Pera. ( 5 )
L’interesse dell’Occidente per il Medio Oriente era infatti sempre più stimolato da una diffusa
conoscenza della Bibbia e dalla letteratura di viaggio.

Verso la fine del XIX secolo, i borghesi europei cominciarono a viaggiare in così gran numero da suscitare reazioni allarmate come quella pubblicata sul Times che diceva “…i turisti affollano i luoghi che dovrebbero essere visitati in reverente silenzio…” ( 6 ). Come i loro equivalenti di oggi, questi viaggiatori ricercavano souvenir possibilmente autentici e pensavano che fosse un loro diritto portarseli a casa; come disse qualcuno, non si poteva tornare dall’Egitto senza “una mummia in una mano e un coccodrillo nell’altra….” ( 7 ).

Tutte le civiltà nate e scomparse in Medio Oriente hanno lasciato una sconfinata varietà di rovine e la fotografia dei precursori diviene così il principale strumento documentario di questi siti. Dopo la morte del fratello avvenuta a Costantinopoli nel 1856 Carlo Naya rientrò in Piemonte ( 8 ) ma subito dopo (pare nel 1857), partì per Venezia dove decise di stabilirsi e mettere a profitto il residuo capitale rimastogli utilizzando l’esperienza fotografica amatoriale che doveva essere notevole visto che gli consentì di affrontare professionalmente questo mestiere in una città dove già esistevano importanti studi fotografici.

A Venezia infatti questa attività sembrava aver trovato un suo spazio ideale, un topos dove ogni cosa si trasformava in immagine fiabesca, esotica senza grande fatica. Luoghi che venivano proposti poi negli allettanti cataloghi dei fotografi che offrivano per pochi franchi una interminabile sequenza di “riproduzioni” d’ogni specie e misura, concedendo a chi l’avesse voluto (ed erano già in molti) di mettere in tasca un intero museo, e volendo anche tutta la città. Iniziavano a nascere, negli
anni in cui lo stesso Naya si era trasferito nella città lagunare, importanti studi fotografici, come
quello di Carlo Ponti (1821-1893) ( 9 ), che era giunto anni prima dalla Francia (nato però nel Canton
Ticino), dove aveva studiato ottica e praticato la fotografia.

Ponti fu infatti uno dei primi a impegnarsi a Venezia nella diffusione di immagini fotografiche, producendo gli album “Ricordo di Venezia” nei vari formati e prezzi, contenenti anche riproduzioni di sculture e dipinti, sebbene in una iconografia più popolare. Carlo Naya (che in seguito si firmò a volte Naja e anche Naija) era giunto a Venezia portando con sé, anche una serie di lastre al collodio di cm 19,5x26, oggi famose, di soggetti folkloristici del Meridione d’Italia, che dovettero costituire allora una specie di credenziale sulla sua abilità di fotografo e anche il nucleo di partenza del suo catalogo che divenne ben presto tra i più ricchi del settore ( 10 ).

A Venezia dunque il dottor Carlo Naya escluse l’ipotesi di esercitare la professione di avvocato, e decise di fare il fotografo, seguendo questa sua passione fino in fondo, ma utilizzando comunque la sua cultura, specie nella scelta dei soggetti e nella organizzazione dell’atelier, che si distinse in breve tempo nonostante all’inizio si appoggiasse allo stabilimento dello stesso Ponti, in Riva degli Schiavoni, il quale provvedeva a vendere le sue opere.

Naya aprì un laboratorio in Campo San Maurizio 2758 e una vetrina d’esposizione e vendita in
Piazza San Marco, che ingrandì mano a mano, impegnando, nel 1868, ben quattro numeri civici,
dal 75 al 79 (ma al 76 aveva lo studio un altro fotografo di fama, Giovanni Jankovich, autore, inoltre,
di un importante manuale edito nel 1880) ( 11 ).

Il negozio di Naya, scrisse un cronista della “Gazzetta privilegiata di Venezia” era “un gioiello degno
della piazza San Marco” dove erano i fotografi, allora a vendere i souvenirs della città, ossia le loro
fotografie ( 12 ). Nel 1864 su lastre al collodio 20x27 cm “realizzate dagli originali e senza alcun ritocco” ( 13 ), come lo stesso Naya precisa nel catalogo della ditta, riprodusse gli affreschi di Giotto, appena restaurati e anche dopo altri restauri, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, per conto di Pietro Selvatico Estense, il quale fu sindaco di Venezia, architetto e già direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.

Lo stesso Naya nel 1867 riprodusse inoltre i bassorilievi della Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo,
in immagini che oggi sono l’unica testimonianza, essendo andati distrutti durante un incendio avvenuto nello stesso anno. Nelle vedute di architettura Carlo Naya non si discosta dagli schemi della prospettiva cari ai disegnatori, ma lo strumento fotografico, nonostante ogni desiderio di imitazione, obbliga a vedere in modo nuovo, enfatizzando semmai questa prospettiva, che in fotografia trova la sua origine sulla linea dell’orizzonte.

Naya utilizza punti di vista alti (i campanili), alla ricerca del “panorama” e si scopre così una città diversa, nella cui scenografia compare ancora poca gente in sosta quasi per caso nel cono ottico dell’obiettivo se si escludono le regate o le manifestazioni pubbliche, dove Naya è sempre presente, con i suoi assistenti come in occasione del viaggio a Venezia dell’Imperatore Austro-Ungarico il 5 aprile del 1875 quando esegue il reportage insieme a Schoefft, fotografo che con molta probabilità era a seguito dell’imperatore e con il quale Naya ha condiviso l’esclusiva ( 14 ).

Sempre nel 1867 partecipò all’Esposizione Universale di Parigi con una serie di vedute di Venezia e di riproduzione di affreschi che arricchiscono alcune chiese di Padova, di Giotto e del Mantegna, che gli fecero ottenere una medaglia d’argento ( 15 ). Scriveva infatti Borlinetto ( 16 ) nel resoconto sulla partecipazione italiana di come “Il signor Naya” sia riuscito ad ottenere delle fotografie, di ottima qualità, degli affreschi di grandi maestri che si trovavano, spesso, in luoghi pochissimo o male illuminati.

Queste fotografie, di cui i negativi furono eseguiti con processo a secco, presentavano una perfezione ed una uniformità come se fossero state fatte in luogo aperto: Il “signor Naya”, scriveva sempre Borlinetto, oltre a questi lavori, esponeva molte altre belle fotografie d’interni e di vedute di Venezia ( 17 ). Ciò gli procurò notorietà non solo in Italia ma anche a Parigi ed a Londra.“ Le sue stereoscopiche godono di singolare reputazione; le ricompense avute in altre epoche, quella della medaglia d’argento accordatagli in quest’anno all’Esposizione Universale comprovano l’incontrastabile merito delle di lui opere.” ( 18 )

Un anno prima nel 1866, il Veneto e Venezia erano stati finalmente annessi al Regno d’Italia e ciò aveva incrementato ulteriormente il turismo e il commercio delle immagini della città lagunare; tra i fotografi primeggiò Naya, che da allora organizzò anche un’estesa rete di distribuzione nelle maggiori città europee, con i suoi rappresentanti. Il laboratorio Naya impegnò quindi il lavoro di molte persone che parteciparono direttamente allo sviluppo dell’atelier anche con la ripresa diretta di molte fotografie che sono invece state erroneamente attribuite al Naya.

Nel 1868 Naya aveva iniziato in Tribunale una interessante e precoce questione relativa al diritto
d’autore, chiamando in causa fotografi veneziani famosi come Carlo Ponti e coinvolgendo anche un
grande editore come Ferdinando Ongania. Naya infatti, per cautelarsi da eventuali furti, predisponendosi così a ottenere una prova certa e indiscutibile dalla contraffazione, con un ingegnoso sistema introduceva sui negativi delle fotografie qualche segno convenzionale; per esempio veniva cancellata una foglia dalla punta di un ramo, una piccola palla dalla cima di un obelisco.

Dimostrava in questo modo come le altre foto fossero copie perché se riprese dal vero non potevano mostrare le stesse caratteristiche che invece, erano state modificate sui negativi nel laboratorio Naya. Il tribunale quindi condannò con sentenza dell’11 febbraio 1882 “in solidum gli imputati al risarcimento dei danni ed interessi, e inoltre alla “distruzione di tutti gli esemplari delle fotografie contraffate e a rifondere al cav. Naya le spese di costituzione e rappresentanza di parte civile” ( 19 ). La causa fu vinta dopo quattordici anni, nel 1882, anno della sua morte.

Alla fine del processo il suo avvocato Leopoldo Bizio, pubblicò anche un singolare libretto, riportandovi tutta la vicenda processuale che apriva nuovi spiragli in questo settore della giurisprudenza.

L’ultimo grande album importante di fotografie concepito dalla Ditta Naya furono i “RICORDI”, che si continuerà a produrre in ogni formato fino ai primi anni del secolo, tra i quali vi fu quello dedicato nel 1887 alle Isole della laguna di Venezia. Naya partecipa, insieme ad altri professionisti ai diversi Salon aumentando, con le medaglie ricevute, il prestigio dell’atelier. Partecipa a Vienna nel 1873 con molte fotografie di opere d’arte e monumenti, tra le quali quelle che riproducono il mappamondo di Fra Mauro, meritando una medaglia di “Progresso” ( 20 ).

Tra i riconoscimenti dell’attività di Carlo Naya sono da ricordare: grande medaglia dell’Esposizione di Londra nel 1862; medaglia d’oro all’Esposizione di Groninga nel 1869, di Trieste e Dublino del 1872, di Torino del 1884 e di Anversa del 1885 ( 21 ).

Carlo Naya muore nella sua abitazione di Campo S. Maurizio 2758, il 30 maggio 1882, come testimoniato dall’amico Bizio che in una nota nella Gazzetta di Venezia del 30 maggio 1882: “Dopo una vita laboriosa, intelligente e onesta, questa notte alle due e mezzo in braccio alla sua affettuosa consorte, chiuse per sempre gli occhi il Cav. Carlo Naya. Da più giorni egli sentiva l’avvicinarsi della sua ultima ora, e la aspettò con animo tranquillo e con mente chiara e serena sino all’ultimo istante, come chi ha conoscenza di aver scrupolosamente adempiuto i propri doveri.” ( 22 )

Nelle pagine dell’Osservatore Veneto del 1 giugno si legge: “Sfarzosi i funerali (nella cappella ardente che la vedova fece apparecchiare in una sala del palazzo con una ricchezza veramente principesca ardevano oltre sessanta ceri…”) vi fu una grande partecipazione da parte dei veneziani nelle Chiesa di S. Stefano, dove accanto al feretro sfilano in prima fila “cinque degli agenti, che portavano cinque bellissime corone” ( 23 ).

Dopo la morte di Carlo Naya la ditta ebbe ancora successo, fino alla morte della vedova Ida Lessiak (di origine ungherese), quando l’atelier era passato al suo secondo marito, lo scultore Antonio Dal Zotto (1852- 1918), erede di tutto e continuatore dell’attività fino al 1918. L’archivio venne allora in parte rilevato dall’editore Ongania, che lo cedette poi a Osvaldo Böhm e va considerato uno dei più ricchi e integrali archivi fotografici dell’Ottocento.

Teresa Devito

NOTE

  1. Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 143
  2. Errea A., Storia e statistica delle industrie venete, Venezia, 1870, pag. 483
  3. Errea A., Storia…, op. cit., pag. 48
  4. Zannier I., Venezia Archivio Naya 1988, p 19., nota 33: “mesto tributo alla memoria onoratissima dell’Avvocato Carlo Naya nel trigesimo della sua morte”, Tip.Filippi, Venezia, 1882
  5. Silingardi A., La Fotografia nell’Impero Ottomano, www.silingardi.it /adriano/index.htm/
  6. Silingardi A., La Fotografia… op.cit., pag. 33
  7. Silingardi A., La Fotografia… op.cit., pag. 34
  8. Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144
  9. Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144
  10. Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144
  11. Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 144-145
  12. Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 145
  13. Zannier I., L’Occhio…, op. cit., pag. 145
  14. Zannier I., Venezia…, op. cit., pag. 23
  15. Becchetti P., Fotografi e Fotografia in Italia 1839-1880, Roma, Edizioni Quasar, 1978, pag.123
  16. Costantini P., Zannier I., Venezia…, op. cit., pag. 34
  17. Borlinetto L., I prodotti fotografici italiani i principali progressi della fotografia, in: L’Italia all’Esposizione Universale di Parigi nel 1867, rassegna critica descrittiva illustrata, Parigi Firenze, 1867, pag.112-113
  18. Borlinetto L., I prodotti …, op. cit., pag. 112-113
  19. Bizio L., Processo per contraffazione di fotografie, Venezia, 1882, pag. 11
  20. Becchetti P., Fotografi…, op. cit., pag. 124
  21. Becchetti P., Fotografi…, op. cit., pag. 124
  22. Gazzetta di Venezia, Venezia 30 giugno 1882
  23. Zannier I., Venezia…, op. cit., pag. 27

Processo per contraffazione di fotografie ( * )

Parecchie tra le prime fotografie veneziane di Naya, vengono a quel tempo cedute al Ponti, che le smercia come sue, assieme a quelle di Perini, Bresolin, Brusa, ecc.; nel 1866 Naya, come già aveva fatto il Perini nel 1860 con l'album Ricordi di Venezia, pubblica assieme al Ponti un album di immagini, Vedute di Venezia, edito in occasione dell'annessione del Veneto al Regno d'Italia.

Ma un anno dopo, Ponti ha una controversia con Naya, che sembra aver avuto il torto di vendere nel suo negozio alcuni marchingegni (aletoscopio e megaloscopio) disegnati da Ponti e fabbricati dal medesimo artigiano, un certo Domenico Puppolin; i rapporti tra Naya e Ponti, da questo momento si guastano, e la diatriba si protrae sino al 1882, anno fatale, non solo per la morte di Naya, ma per la conclusione del lungo "processo per contraffazione di fotografie", nel quale è coinvolto Carlo Ponti con altri fotografi veneziani.

Infatti nel 1868 Carlo Naya chiamò in causa fotografi veneziani famosi, come Carlo Ponti, e coinvolgendo anche un grande editore come Ferdinando Ongania.
Si dibatterono così per la prima volta in Italia con tante sottigliezze giuridiche e riferimenti a sentenze internazionali, i problemi del diritto d'autore per la fotografia, sollevati in quegli anni a Firenze anche da Carlo Brogi, che in seguito scrisse alcuni testi specifici sull'argomento (Sulla priorità letteraria delle fotografie, Firenze 1885; In proposito della protezione legale sulle fotografie, Firenze - Roma 1885).

Il suo avvocato, Leopoldo Bizio, pubblicò, finita la causa, un singolare libretto, intitolato Processo per contraffazione di fotografie, riportandovi tutta la vicenda processuale che apriva nuovi spiragli in questo settore della giurisprudenza; oggi è per noi un libretto fondamentale, visto che gli atti del processo sono andati persi.

L. Bizio inizia con il narrare il fatto, dandoci anche delle opportune precisazioni "Nel 1867 il Cav. Carlo Naya concepì l'idea di una grandiosa raccolta di riproduzioni fotografiche di oggetti d'arte, divisa in quattro parti, e ne iniziò l'esecuzione nel proprio stabilimento.
I negativi venivano perfezionati a mano da un valente artista (il Marcovich), al quale il Naya nel corso di alcuni anni ebbe a pagare la ragguardevole somma di circa L. 45,000.
Intendendo di riservarsi i diritti spettanti agli autori delle opere dell'ingegno, egli ottemperò a tutte le pratiche dalla legge prescritte [...].

Come accennavasi poc'anzi, la raccolta ideata era divisa in quattro parti. Delle tre prime non occorre occuparsi, perché non formano soggetto della presente controversia. L'ultima parte veniva menzionata nei termini seguenti:

"Parte della collezione in due copie, che si sta completando, delle riproduzioni degli originali dei dipinti dei grandi maestri esistenti in palazzo ducale, nella R. Accademia di Belle Arti e nelle diverse chiese di Venezia di 51 numeri.
Si fa poi avvertenza che molti dei negativi di questo fotografo furono ritoccati e perfezionati da valente artista, per cui non hanno solamente il carattere fotografico, ma costituiscono un lavoro d'arte a mano, che cade nella categoria dei disegni.
Si riserva di depositare in seguito tutte quelle fotografie che si faranno come completamento della sua raccolta".
Questi sono i termini della dichiarazione presentata dal Naya" ( 1 ).

Bizio riporta parte della Gazzetta Ufficiale che elenca tutte le fotografie contenute nella parte ultima, sono riproduzioni degli originali dei dipinti dei grandi maestri, nel Palazzo Ducale, nella R. Accademia di Belle Arti e nelle diverse chiese di Venezia; qui verranno riportate solo le opere contrassegnate nell'elenco da un asterisco, ossia le fotografie che sono state contraffatte:

  • N. 5 Convito in casa Levi
  • N. 6 Il battesimo di Cristo
  • N. 9 Salvatore in gloria
  • N. 13 Il ricco Epulone
  • N. 18 S. Orsola con lo sposo giunta in Colonia
  • N. 23 S. Catterina eccitata all'adorazione degli idoli
  • N. 25 Ratto d'Europa
  • N. 29 Miracoli della SS. Croce
  • N. 39 Presentazione al tempio
  • N. 43 Il Principe inglese incontrato da S. Orsola
  • N. 44 Gloria in Venezia

Leopoldo Bizio continua così nella descrizione del fatto "Quantunque egli avesse così adempite tutte le prescrizioni della Legge, e quantunque all'adempimento di queste prescrizioni fosse stata data la massima pubblicità e notorietà mediante la specificazione di ogni singola fotografia [qui non riportate] nella Gazzetta Ufficiale, egli venne a sapere che la vedova Sargenti si permetteva di riprodurre e di smerciare le fotografie perfezionate dalla mano dell'artista e da lui poste sotto la tutela della legge; e che le Ditte Coen, Salviati, Ponti e Perini (agente e direttore tecnico Zorzetto) comperavano e spacciavano le fotografie abusivamente riprodotte dallo Stabilimento Sargenti".

Egli poté acquisire la certezza assoluta comperando a mezzo di interposte persone nei rispettivi negozi le fotografie contraffatte.

[Le fotografie contraffatte ed acquisite nei suddetti negozi sono quelle precedentemente elencate, e precisamente: N.13, 18, 25 e 39 nel negozio Coen; N.5, 9, 29, 43 e 44 nel negozio Salviati; N.8, 13, 18 e 23 nel negozio Ponti; N. 13 e 25 nel negozio Perini].

Scoperta così la contraffazione e lo spaccio abusivo, il Naya sporse querela al Procuratore del Re, e il Giudice istruttore al 3 Decembre 1881 procedette ad una perizia sui negativi del Naya che avevano servito per la riproduzione delle sue fotografie, contraffatte poi dallo stabilimento Sargenti e smerciate dai negozi Coen, Salviati, Ponti e Perini.

La perizia eseguita dal Cav. Fabris, R. Conservatore del Palazzo Ducale, venne alle seguenti conclusioni:

"1) Non v'ha dubbio che sui negativi da me esaminati ho riconosciuto sussistere ulteriormente al semplice prodotto fotografico chimico-meccanico, l'opera intelligente della mano dell'uomo- e dirò anzi molto estesa specialmente in alcuni.
2) Assolutamente chi ha fatto quell'ulteriore lavoro sui negativi ha compiuto un disegno nel senso proprio dell'arte. Infatti ha disegnato molte teste, perfino complete figure, panneggiamenti e quant'altro occorreva per ottenere colla produzione positiva veramente il quadro che si rappresenta, ed ottenere l'effetto che ha il quadro originale.
3) Il lavoro ulteriore fatto dall'artista sui negativi come sortiti dalle macchine fotografiche e che ho rilevato, effettivamente è l'opera d'un artista nel senso elevato della parola, e non di un ritoccatore per rimediare a difetti che nelle fotografie risultano, in quanto che quell'artista ha effettivamente creato sui negativi il perfezionamento di figure, di teste, di panneggiamenti e di estremità, andando ad esaminare i quadri originali ed a consultare sugli stessi.

Quindi è che il lavoro fatto da quell'artista è senza dubbio a ritenersi un'opera d'ingegno." ( 2 ).

Sicuramente la situazione per Naya non si stava mettendo per il meglio, inoltre "Cav. Naya dimise in processo l'estratto dei suoi registri dal quale risultò che dal 1869 fino all'epoca della querela (1880) egli aveva esborsato all'artista la retribuzione di L.30,628:29, senza tener conto del periodo precedente al 1869.

E l'artista stesso dichiarò al dibattito di aver incassato l'importo complessivo di circa L.45,000" ( 3 ). Nonostante ciò Carlo Naya non si tirò in dietro e, costituitosi parte civile, prese parte al dibattito avanzando tali richieste:

«1. Condannarsi in solidum gl'imputati al risarcimento dei danni ed interessi, da liquidarsi in separata sede.
2. Ordinarsi la distruzione di tutti gli esemplari delle fotografie contraffatte e di tutti i negativi adoperati alla contraffazione, che esistessero nei laboratorii o nei negozii degl’imputati, o in qualsiasi altra località a loro disposizione.
3. Condannarsi in solidum gl’imputati a rifondere al Cav. Naya le spese di costituzione e rappresentanza di parte civile, giusta l’unita parcella» ( 4 ).

La situazione precipitò: nel primo giudizio non era stata messa una nota rivolta direttamente all’Avvocato Bizio Leopoldo dove si richiedeva, per un riscontro, il primo numero della Gazzetta Ufficiale affinché si potessero visualizzare le Collezioni delle fotografie depositate da Carlo Naya (cosa che risultava nel Registro generale dei Diritti d’autore).
Questo malinteso fece sì che l’avvocato non riuscì a procurarsi il suddetto numero della Gazzetta Ufficiale, e quindi «il Tribunale dubitò, che l’avvenuta pubblicazione non contenesse tutti gli estremi necessari per recare l’eseguito deposito a sufficiente cognizione del pubblico".

"Il pubblico poteva quindi non sapere quali fossero le fotografie privilegiate del Naya:” sono queste le testuali parole della Sentenza, la quale per questo motivo dichiarò non luogo a procedimento a favore dei preventi; e per giunta riservò loro il diritto al risarcimento dei danni in confronto della parte civile. Contro questa enorme ingiustizia il Cav. Naya interpose l’appello nelle forme prescritte dagli articoli 401, 421 e 370 Codice procedura penale" ( 5 ).

Da quel momento in poi ebbe luogo un importante processo nel quale l’avvocato Bizio seppe destreggiarsi con grande maestria e sapienza, tanto che Carlo Naya ne uscì vincitore.

Nel suo libro, L. Bizio, ha riportato la trattazione della materia dividendola nei seguenti punti:

  • «1) Se le fotografie Naya, perfezionate dalla mano intelligente dell’uomo ed equiparate dalla perizia ad un disegno nel senso proprio dell’arte, possono qualificarsi opere dell’ingegno, e possono quindi godere la tutela della Legge 25 Giugno 1865.
  • 2) Come siano considerate le produzioni fotografiche in generale dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
  • 3) Distinzione delle opere dell’ingegno in originali e traduzioni.
  • 4) In che consista la traduzione di un’opera d’arte.
  • 5) Se le fotografie Naya debbansi considerare come traduzioni dei dipinti esistenti nel Palazzo Ducale, ecc.
  • 6) Durata del diritto d’autore per la traduzione di un’opera d’arte.
  • 7) Se il Cav. Naya abbia eseguito tutte le formalità prescritte per valersi dei diritti guarentiti dalla Legge agli autori delle opere dell’ingegno.
  • 8) Se sia stabilita l’identità fra le fotografie depositate dal Naya ai 15 Gennaio 1868 e quelle ispezionate dal Giudice istruttore ai 24 Novembre 1881.
  • 9) Se le fotografie incriminata siano state prese dai quadri originali, oppure contraffatte dalle fotografie del Naya.
  • 10) Se sia provato che furono riprodotte dallo stabilimento Sargenti e che furono vendute nei negozii Coen, Salviati, Ponti e Perini.
  • 11) Se i convenuti possono difendersi colla eccezione di buone fede.
  • 12) Se dalle risultanze del processo la buona fede sia esclusa.
  • 13) Importanza economica della causa.
  • 14) Conclusioni. »

La "questione Naya" presentò aspetti singolari, se si tiene conto della sentenza, che riconobbe le fotografie di Naya "opera intelligente della mano dell’uomo" ( 6 ), soltanto perché la perizia "eseguita dal Cav. Fabris, R. Conservatore del Palazzo Ducale" ( 7 ), il 3 dicembre 1881, aveva riconosciuto che le immagini non erano "il semplice prodotto di un’operazione meccanica e chimica" ( 8 ), in quanto vi era stato il ritocco di Marcovich sulle lastre negative, per cui vi era risultato "un disegno nel senso proprio dell’arte" ( 9 ), in un lavoro che "è l’opera di un artista nel senso elevato della parola e che quindi è senza dubbio a ritenersi un’opera dell’ingegno" ( 10 ).

Con questa sentenza dell’11 febbraio 1882 non vinse quindi la fotografia, come autonoma e creativa operazione artistica e intellettuale, ma Carlo Naya ebbe però tutte le soddisfazioni del caso; anche Carlo Ponti, con il quale da tempo litigava per altri motivi commerciali (tra cui la produzione e la vendita da parte del Naya dell’Aletoscopio, non più protetto dal brevetto del 1861), venne condannato «in solidum al risarcimento dei danni ed interessi… alla distruzione di tutti gli esemplari delle fotografie contraffatte e di tutti i negativi adoperati alla contraffazione, e a rifondere le spese» ( 11 ).

Valeria Palombini

NOTE

  • * BIZIO L., Processo per contraffazione di fotografie, Tip. C. Naya, Venezia 1882.
  • 1. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.1
  • 2. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.7
  • 3. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.8
  • 4. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.9
  • 5. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.8
  • 6. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.45
  • 7. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.46
  • 8. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.46
  • 9. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.47
  • 10. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.54
  • 11. BIZIO L., Processo…, op. cit., p.55

Icone di Venezia nella fotografia turistica

La nascita della cartolina, risale all’ottobre del 1869, per merito di un professore di economia dell’Accademia Militare di Wiener Neustadt, E. A. Hermann.

In questo periodo dell’Ottocento il turismo comincia a registrare una maggior consistenza e di conseguenza questo prodotto commerciale prende sempre più piede perché, rispetto alle costose immagini fotografiche degli atelier, la cartolina risulta di facile reperibilità e accessibilità per tutti coloro che desiderano trasmettere saluti, ma anche testimonianze dei luoghi visitati.
In Italia le cartoline cominciano a diffondersi nel 1885, già tre anni dopo la morte di Carlo Naya.

Queste righe intendono sottolineare il ruolo che ha avuto in primis il fotografo Naya, ma anche il lavoro svolto da altri professionisti come Ponti, Perini, Giacomelli che, tutti insieme, hanno contribuito a fare di Venezia un’icona nell’ambito della fotografia turistica.
Questi quattro atelier fotografici, dal 1861 in poi, hanno avuto involontariamente, ma anche deliberatamente, il compito di immortalare le prime immagini di Venezia prevalentemente destinate ad un pubblico che non conosceva la città, che inizialmente era elitario, ma che poi via via si è allargato a fasce sociali meno abbienti e per ciò stesso più vaste.

Questa diffusione dell’immagine lagunare porta ad un corrispondente incremento della domanda del turista e di conseguenza il numero degli atelier fotografici prende sempre maggior consistenza.
Infatti, se nel 1861 gli studi noti erano i quattro sopra citati, già cinque anni dopo ne verranno censiti dieci, finché nel 1869 se ne potranno contare ben quattordici! Va ricordato inoltre che, nel 1870, l’invenzione della lastra alla gelatina al bromuro permette un’ulteriore notevole diffusione dell’immagine fotografica, seppur con un conseguente abbassamento della qualità della stessa.

Dato l’enorme successo della fotografia paesaggistica, i fotografi e le ditte editrici si organizzano per offrire al turista un prodotto che possa stimolare il ricordo di viaggio che in quegli anni ancora non poteva essere ottenuto senza l’ausilio di un professionista. Ecco quindi la ragione dell’enorme successo delle fotografie stereoscopiche (che vengono prodotte anche dalla Ditta Naya), dei librisouvenir e infine della cartolina.

Spesso si riscontra nell’elenco delle edizioni di cartoline nomi di fotografi professionisti. Nonostante un approfondito lavoro di documentazione, sembra che, al momento, non risultino cartoline,con la firma di Carlo Naya o della Ditta Naya.

Sono invece più frequenti i vari album souvenir, realizzati in collaborazione con diversi editori locali, pubblicati con i soggetti che Naya ha fotografato in ogni angolo della città durante il suo soggiorno veneziano.
Nell’archivio storico Böhm-Naya sono infatti conservati diversi album – souvenir : "[…] n. 3 album di Naya, senza titolo, databile ca.1868 avente per soggetto vedute di Venezia, palazzi, monumenti, composto da n. 18 tavole, dimensioni album cm 45,5x32,5, cartoncino viola, immagini stampe alla gelatina cm 27,1x34,2 […] n. 6 album di Carlo Naya, "Ricordi di Venezia", soggetto interni, monumento al Canova ai Frari, tomba del Tiziano ecc., datazione successiva al 1876, dimensioni album cm. 31x37, cartoncino rosso con scritte oro, immagini stampe alla gelatina, cm. 19,2x24,2 […]".

Il "Ricordo di Venezia" è, a tutti gli effetti, un prodotto commerciale rivolto al turismo, come quello di Antonio Fortunato Perini (Treviso, 1830-1879), appartenente alla prima generazione di fotografi, il quale, come Naya, aveva il suo studio in Piazza San Marco. Infatti, inizialmente Perini aveva lavorato con Carlo Ponti (collaboratore poi anche di Naya) e metteva in vendita immagini architettoniche di grande formato ma anche vedute di Venezia di piccole dimensioni che montava su un cartoncino di presentazione per i turisti, con il titolo "Souvenir de Venise".

Questi album, disponibili in vari formati, spesso contenevano una dozzina di foto che raffiguravano i monumenti e i luoghi più noti della città di Venezia.
Alcune immagini venivano colorate da ritoccatori professionisti o da pittori minori che spesso le alteravano per ottenere un effetto notturno.
Talvolta lo stesso Carlo Naya utilizzava il fotoritocco per le vedute notturne con l’ausilio di un certo Marcovich.

Anche le fotografie stereoscopiche hanno avuto un ruolo nel precedere la genesi della cartolina come fenomeno fotografico.
Tra i diversi autori di stereoscopiche è doveroso segnalare Carlo Ponti, Carlo Naya e Ditta Naya, Bettini & Bonaldi Fotografi Editori Venezia, Istituto Fotografico A. Perini Venezia, Fototipia Alterocca, N.P.G. (quest’ultimo dedicato soprattutto agli angoli più caratteristici ed alle vedute animate).

La presenza del nome di Carlo Naya e successivamente della Ditta Naya anche nelle immagini stereoscopiche ribadisce che lui stesso, come altri fotografi attivi nella seconda metà dell’Ottocento, ad esempio Perini, Filippi e Bertoya, fu sensibile al cambiamento della clientela, adeguandosi alla richiesta del turismo ormai di massa, di poter avere un suggestivo ricordo di Venezia accentuato dall’incredibile effetto della tridimensionalità.

Si può quindi concludere che Carlo Naya fu un precursore del grande successo della cartolina illustrata grazie alla sua sensibilità artistica attenta non solo al fascino dei monumenti ma anche agli aspetti folcloristici della città minore che attiravano la curiosità del viaggiatore di fine Ottocento. Egli, infatti, contribuì a diffondere la cultura dell’immagine veneziana anche al di fuori dell’ambito della fotografia d’autore.

Si poneva comunque una pietra miliare nel cammino del riconoscimento della qualità e della personalità del fotografo/autore.
È interessante notare che un dilemma analogo si presentò e ebbe luogo negli U.S.A., intorno al 1865, tra A. Gardner e M. Brady, nella produzione di immagini fotografiche della Guerra Civile Americana.
Anche in questo caso si riconobbe il valore originario dell’autore dello scatto fotografico, distinguendo l’esecutore del negativo dall’esecutore del positivo.

Marta Vimercati

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