Leon Battista Alberti, Momus

da Lunedì, 17 Dicembre 2007 a Domenica, 06 Gennaio 2008

in occasione delle celebrazioni che l’Accademia di Belle Arti di Venezia
organizza per la pubblicazione del volume:

Leon Battista Alberti, Momus

a cura di Francesco Furlan,
edizione critica di Francesco Furlan e Paolo D’Alessandro,
traduzione italiana di Mario Martelli, Milano, Mondadori

17 dicembre 2007 - 6 gennaio 2008. (Prorogata al 5 febbraio 2008)
Venezia, Sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana

A cura di: Susy Marcon
Allestimento: Silvia Pugliese
Coordinamento e ufficio stampa: Annalisa Bruni

Umanista dai molteplici talenti, ingegno rinascimentale, Leon Battista Alberti nacque il 14 febbraio 1404 a Genova, nel tempo dell’esilio da Firenze della famiglia Alberti.
Nei primi trent’anni della sua vita dimorò tra Venezia, Padova, Bologna e Roma, per vivere poi a Firenze e a Roma, dove morì il 20 aprile 1472. Trascorse da studi letterari e sulle lingue latina e greca, a studi di diritto, e si applicò poi alla fisica e alla matematica.

Momus, la vivace satira in quattro libri intorno al principe e alla vanità umana redatta con lo spirito del greco Luciano, fu scritta dall’Alberti maturo, mentre dimorava presso la Curia romana: una prima versione del testo era pronta nel 1450, quando Francesco Filelfo gliene chiese copia scrivendo da Milano.

Chiusosi il tempo dedicato principalmente alle opere poetiche e letterarie, che sulla scorta degli autori antichi trattavano dei sentimenti e discettavano intorno all’etica e ai costumi, negli anni successivi l’Alberti si dedicherà piuttosto alla tecnica costruttiva, all’architettura pratica e teorica, alla dottrina delle arti plastiche e figurative.

Momus, favola mitologica e satira scherzosa, si intitola al dio Momo, il figlio della Notte, il censore che si muove tra l’Olimpo dominato da Giove e gli umani, in un continuo disordine, dove l’uomo deve essere architetto della propria sorte.
Le vicende si dipanano grottesche e ci restano sostanzialmente oscure nel loro significato.

A illustrare il contrasto delle passioni nell’animo umano, così gli dei erano messi in scena da Omero, da Pindaro, da Sofocle e da altri grandi poeti, dichiara l’autore nel proemio.

Non mancano le arguzie e le invenzioni, per il diletto del lettore, e vi si possono leggere cenni di apprezzamento per l’opera degli architetti e dei pittori messi a confronto con la deludente organizzazione dell’universo pensata dagli dei, dai filosofi e dagli artisti della parola.

Il codice marciano

Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. VI, 107 (=2851):
Leon Battista Alberti, Momus sive de principe

Membranaceo; ff. III, 126, I’; mm 243 x 162.
Provenienza Tommaso Giuseppe Farsetti (1791)

Il codice, vergato in antiqua da tre mani dalle caratteristiche simili, si situa nella fase di elaborazione del testo, e lo stesso Leon Battista Alberti vi appose, autografe, numerose correzioni e varianti sui margini.

Andrà riferito dunque all’inizio del terzo quarto del Quattrocento, come testimoniano insieme la verticalità dei richiami, e la precocità della lezione degli interventi albertiani rispetto al manoscritto Lat. 6702 della Bibliothèque Nationale de France, egualmente corretto dall’autore.

Da quest’ultimo codice deriva l’ulteriore, limitatissima, tradizione antica del testo, costituita dal manoscritto Canon. Misc. 172 della Bodleian Library di Oxford, datato 1587, dall’Ottob. Lat. 1424 della Biblioteca Apostolica Vaticana, nonché dalle due prime stampe uscite entrambe a Roma nel 1520, presso Etienne Guillery e presso Giacomo Mazzocchi.
L’analisi dei testimoni si deve ad Alessandro Perosa, Considerazioni su testo e lingua del “Momus” dell’Alberti, in The Languages of Literature in Renaissance Italy, ed. P. Hainsworth et alii, Oxford, Clarendon Press, 1988, pp. 45-62.