PUBBLICATO in Cabnewsletter. Conservazione negli Archivi e nelle Biblioteche, a. 5, n. 6 (novembre-dicembre 2000), nuova serie, pp. 2-9. Claudia Benvestito e Silvia Pugliese* L'intervento su una raccolta di carte geografiche della Biblioteca Nazionale Marciana: alcune soluzioni per la sistemazione Il manoscritto It.VI, 188 (=10039) della Biblioteca Nazionale Marciana è composto di 71 tavole di varie dimensioni, che riproducono carte topografiche e piante di città e fortificazioni. Esse risalgono per la maggior parte al XVI secolo ed erano legate in un volume di epoca ottocentesca di dimensioni 610 x 444 millimentri, in quarto di pergamena e carta alla colla di colore verde. La raccolta, appartenente a Giacomo Contarini, era già stata parzialmente smembrata in occasione della mostra "Palmanova. Storia, progetti e cartografia (1593-1866)" del 1993. Alcune tavole destinate all'esposizione, infatti, erano state distaccate dal volume, restaurate ove necessario e conservate distese in cartelle di cartoncino a lunga conservazione. Nel volume le tavole, per poter essere contenute dalla legatura, erano state per la maggior parte piegate una o più volte su se stesse e incollate su brachette, oppure si presentavano cucite a sopraggitto a piccoli blocchi e quindi assicurate ai supporti. Considerando le condizioni molto precarie dell'insieme, le conseguenze negative che il perdurare di tale situazione avrebbe senza dubbio prodotto progressivamente sulle opere, oltre alla presenza, come già detto, di tavole conservate in maniera diversa e indipendente dal resto della raccolta, si è deciso di sciogliere il volume e di conservare tutte le tavole più adeguatamente. Nella progettazione il punto fermo è stato quello della conservazione massima di tutte le informazioni fornite dalle singole tavole e dunque del minimo intervento. Lo smontaggio ci ha permesso un esame accurato delle mappe con la registrazione di un grande numero di dati su tecniche e supporti, che hanno infine trovato posto nella prima parte di un database da noi costituito come scheda di documentazione dell'intero intervento. Mirata alla valutazione dello stato di conservazione delle opere, l'indagine iniziale è stata utile per tentare di ricostruire in ultima analisi la "storia" di questo materiale: la presenza di gore, di ossidazioni, di sporcizia, localizzati in aree ben delimitate, come anche le antiche pieghe delle mappe ci hanno permesso di chiarire per ognuna quali siano stati i precedenti metodi di conservazione. Il rilievo delle vecchie numerazioni, presenti in più serie e con vari tipi di inchiostro, ci ha consentito di raggrupparle, mentre le indagini successive ci hanno portato ad individuare le tecniche di esecuzione dei disegni (linee di incisione, disegni preparatori con grafite, forature per il riporto delle opere in più copie) e il trattamento superficiale della carta. Il nostro lavoro per buona parte si è concentrato su filigrane e vergatura, e sulla loro identificazione nei repertori. Ciò ha consentito di identificare il formato delle carte adoperate, ma anche di proporre accostamenti e una datazione più avanzata per alcune mappe attribuite al XVI secolo. Le filigrane non individuate nei repertori sono state fotografate in digitale, andando ad arricchire ulteriormente il database. Riconoscere il tipo di inchiostri e colori adoperati - evidenziando con la lampada di Wood sostanze ossidanti anche in aree apparentemente "sane" - è stato fondamentale per orientarci sui trattamenti, che in un solo caso hanno previsto lavaggio completo. Sono stati eseguiti risarcimenti di strappi e lacune, rimozione di adesivi, macchie e restauri dannosi, lievi spianamenti e velature di rinforzo. In questa sede si è scelto di approfondire solamente due temi: l'intervento sul piccolo gruppo di materiale membranaceo e la progettazione di contenitori adeguati sotto l'aspetto conservativo e logistico. Le quattro pergamene versavano in condizioni precarie, decisamente compromesse nel supporto così come nel medium grafico dal sistema di conservazione. Se modificare radicalmente la sistemazione era stata ritenuta la soluzione ottimale per le tavole su carta, farlo per queste su pergamena risultava del tutto necessario. In un codice membranaceo le distorsioni dovute a variazioni dei parametri climatici si verificano più lentamente, spesso in maniera uniforme, insistendo sugli stessi punti e, se i bifoli sono stati ricavati dalle stesse aree dell'animale, con pari intensità. Il volume reagisce quindi come un unicum, con le singole carte in qualche modo protette dalla compagine e tenute insieme dalla legatura. Nel nostro caso si riscontravano al contrario tutti gli svantaggi di una legatura con materiale eterogeneo per dimensioni, tipo di assemblaggio e cucitura, natura del supporto e, di conseguenza, reazione alle condizioni esterne di temperatura e umidità relativa. Le prime due pergamene della raccolta, piante di Venezia attribuite al XIV secolo (n. 1 e 2), erano fermate ai margini sul recto e verso di un foglio bianco di carta settecentesca con punti di colla animale densa e tenace, che causavano un considerevole irrigidimento delle aree incollate e provocavano, naturalmente, forti tensioni meccaniche che nel tempo hanno portato ad ondulazioni e distorsioni. La seconda pergamena presentava ulteriori particolarità: una foderatura completa a mezzo di gelatina animale con una carta sei-settecentesca, e una struttura composta da due pelli di fattura molto simile se non identica. Queste sono accostate all'incirca al centro della pianta, col disegno che corre da una all'altra, e corredate da due piccole toppe in pergamena. Si tratta di un rimaneggiamento di notevoli proporzioni, ricoperto da un'unica patina ed effettuato in epoca molto antica, di cui rimane piuttosto difficile ricostruire con esattezza le fasi e definire quindi una procedura di intervento che ne rispetti tutte le caratteristiche. La foderatura aveva impedito alla membrana il sia pur minimo movimento, e così la reazione alla secchezza dell'ambiente si era qui modulata in un progressivo e accentuato imbarcamento di tutto l'insieme, con la rigidità della pergamena aggravata da quella dello spesso strato di adesivo. Le altre due mappe "pianta della città di Rethimo" (n. 16) e "fortezza di Candia" (n. 50) del XVI secolo, erano state invece ancorate e cucite al volume tramite brachette di carta incollate in un caso (n. 16) sul margine superiore e nell'altro su una piega eseguita al centro della pergamena stessa, date le maggiori dimensioni. Anche qui la scarsa affinità tra i due materiali ha impedito a quello più sensibile di muoversi e assestarsi liberamente, e il danno prodotto dalla deformazione e ossidazione sulla piega non è stato pienamente recuperato. Ma soprattutto il peso e il contatto con le carte adiacenti ha compromesso le decorazioni laddove gli interventi di colore erano più consistenti e non protetti da alcuna verniciatura. Le vaste aree azzurre del mare della città di Rethimo, vicine ai margini e con diversa elasticità della pelle, si sono così "increspate" in maniera discontinua e il pigmento è stato completamente abraso dalle zone in rilievo, con pesante disturbo nella lettura dell'opera. Perdite di colore e di leggibilità si trovavano anche sui margini dorati della fortezza di Candia e in una delle piante di Venezia (n.2). Un ruolo determinante nell'entità del danneggiamento è stato pure rivestito dalla qualità del supporto. La lavorazione è diversa, con pergamene più o meno sottili ed elastiche, e talvolta sono visibili le parti cornee della spina dorsale e dell'attaccatura degli arti dell'animale. Nella città di Rethimo la particolare sensibilità alle condizioni ambientali era accompagnata a un'ossidazione avanzata di alcuni punti lungo i margini fragili, irrigiditi e sottoposti a manipolazione, col risultato della caduta di alcuni frammenti e dell'imbrunimento del supporto. Riguardo alle due prime piante, la n. 1 è quella che si trovava nello stato più critico per quanto riguarda le fibre di collagene, a causa della gelatinizzazione generale con trasparenza e rigidità, specialmente nella fascia centrale; le lacune erano di piccole dimensioni e tutta la superficie era stata trattata con una vernice di cui sono visibili a luce radente le direzioni delle pennellate, che lasciano qualche area scoperta. La seconda pianta è stata infine profondamente modificata dalla foderatura, si nota ossidazione diffusa del supporto e semplicità nella lavorazione con l'arrangiamento follicolare ancora piuttosto evidente. Per la pulitura, oltre all'impiego sul verso di gomma bianca Staedtler e metilcellulosa, siamo ricorsi ad un vaporizzatore per liquidi caricato ad aria con interventi molto leggeri e localizzati; questo per evitare l'abrasione di gomme o pennelli nelle zone concave tinte in azzurro della pianta n. 16, dove si erano depositati polvere e sporcizia che durante l'umidificazione si sarebbero con tutta probabilità saldate al pigmento. Le pergamene sono stati quindi poste in cella di umidificazione ad ultrasuoni con valori intorno al 90-95% di U.R. e per tempi molto ridotti, dai 45 ai 60 minuti. La scelta di non procedere a una reidratazione pronunciata è stata dettata dalla presenza di estese aree decorate distribuite però in maniera non omogenea. Le fibre avrebbero a loro volta risposto diversamente all'apporto di umidità, a seconda dell'elasticità naturale e dello stato di ossidazione, ragioni per cui un fenomeno di deciso rilassamento e contrazione del supporto poteva avere conseguenze negative sulla compattezza e stabilità dello strato pittorico. L'asciugatura è avvenuta sotto tensione con clips, collegate ad elastici e fissate a una tavola in cartone fibrato tramite punteruoli. Con l'azione combinata di punteruoli ed elastici si può così controllare lo stiramento delle varie zone della pelle, mantenendolo sempre bilanciato e uniforme su tutta la superficie. Nella tavola n. 1, per esempio, dove la denaturazione delle fibre era purtroppo in uno stato già avanzato, si è rinunciato fin dall'inizio ad ottenere una loro perfetta distensione e riallineamento cercando anzi di sottoporle al minimo stress possibile. Le strisce di carta assorbente incollate all'interno delle clips sono state rivestite di tessuto non tessuto per evitare il contatto diretto con il colore presente sul perimetro. Nei casi in cui fossero presenti strappi o lacune essi sono stati velocemente fissati sulla membrana rilassata con suture in carta giapponese e colla d'amido molto densa, per poi procedere al tensionamento. Una volta asciutte i restauri temporanei sono stati rimossi e le pergamene sistemate sotto peso tra carte assorbenti per vari giorni. Per la tavola n. 2 è stata necessaria una seconda umidificazione, poiché dopo il tensionamento la pergamena "tirava" ancora molto la foderatura. Dopo averla riammorbidita la si è invece posta col verso a contatto della tavola aspirante, dove è avvenuta la maggior parte dell'asciugatura. Sfruttando in tal modo l'ammorbidimento dello strato adesivo si sono sia distese alcune piccole pieghe, sia fatte riaderire con semplici pressioni le parti della foderatura che nel tempo si erano staccate, creando delle bolle al verso. I restauri sono stati di piccola entità e hanno previsto la combinazione di carta giapponese e budello animale. Come adesivo si è scelta la colla d'amido di grano preparata in forno a microonde (in acqua demineralizzata con proporzione 1:5), mista ad una piccola quantità di Tylose MH 300p al 4% per aumentarne fluidità e scorrevolezza. Il budello è ricavato dal peritoneo dei bovini, un materiale di struttura molecolare molto affine alla pergamena e già noto in passato nel restauro e come base della foglia dei battiloro. Se ben preparato è sottile, uniforme, offre completa trasparenza nonché maggiore forza rispetto alle fibre di carta giapponese. E' stato fatto aderire al verso delle tavole fissandolo per qualche millimetro in corrispondenza delle lacune, e adoperato quindi come strato interno di toppe a sandwich in carta giapponese; in un secondo momento le fibre di carta in eccesso possono venire completamente scarnite. Si impiega il budello come se fosse una velina anche nella sutura degli strappi, applicandolo in questo caso al verso e al recto dell'opera senza comprometterne la lettura, o come semplice rinforzo dal verso di parti indebolite o troppo sottili. Per la conservazione definitiva si è ricorso al montaggio con tensionamento permanente (thread matt, cfr. C.Clarkson 1987), sistema valido e ampiamente sperimentato negli ultimi decenni, che sfrutta la reazione dei fili ritorti ai cambiamenti di umidità relativa dell'ambiente. In altre parole le membrane hanno una limitata libertà di movimento e interagiscono con l'ambiente più gradualmente, "guidate" dall'azione dei fili, poiché le fibre vegetali si accorciano quando quelle di collagene si rilassano - e viceversa, in modo tale da fare restare queste ultime sempre allungate e allineate. All'abbassamento del contenuto d'acqua nel filo utilizzato per le quattro pergamene (in lino irlandese 18/3) si è registrato un accorciamento del 5% nella lunghezza. Un capo del filo viene aperto a ventaglio per circa un centimetro e incollato al verso sul perimetro della pergamena con colla d'amido mista a PVA (circa 6:1); gli intervalli sono di 2-3 centimetri. Questo è il "punto di rottura" in caso di eccessiva tensione, che non causerà danni alla superficie membranacea per la diversità strutturale tra la pellicola di adesivo e la pelle. Il filo, ulteriormente attorcigliato per esasperarne le variazioni, è solitamente tirato e ancorato al cartone del passe-partout con PVA. Definire la giusta lunghezza è piuttosto arbitrario, ma è ad ogni modo proporzionale alla quantità di superficie da controllare (C.Clarkson suggerisce 9-11 cm per frammenti di 20 x 15 cm, che raddoppiano in altezza e larghezza). Abbiamo scelto questo sistema con fili molto corti (6-7 cm), e molto tirati, per la pianta di Venezia foderata (n. 2), non tanto per tensionare l'insieme quanto per mantenere bene la posizione sul cartone. Per le altre tre tavole il punto della lunghezza ci ha portati invece a formulare alcune variazioni nell'ancoraggio: non ci trovavamo di fronte a miniature staccate ma alla tavola maggiore, la n. 50, di 42,5 x 57 cm, con l'idea di costruire due coppie di passe-partout (n. 16-50 e 1-2) di uguale formato da inserire in scatola a misura. Allo stesso tempo le dimensioni dei cartoni - e il loro peso - dovevano essere ridotti il più possibile per ragioni di maneggevolezza. Si è mantenuta perciò al diametro di 11-13 centimetri la cornice che circonda l'opera e ospita la raggiera dei fili facendoli curvare a U, per fermare anche la seconda estremità sulla pergamena. Per mettere i fili in tensione si è pensato di posizionare lungo il perimetro del cartone un "anello" di poliestere largo circa 3 cm, con due file parallele di fori: quella esterna per cucire il poliestere al cartone, quella interna per farvi passare i fili. Ci si è serviti di un trapano con punta 1,5 per i fori nel cartone (Canson Museum) e di una fustella giapponese a vite (screw punch) con punta di 1 mm. nel poliestere (Melinex tipo O da 100 micron). Il poliestere con la sua indeformabilità e alta resistenza meccanica assicura il passaggio a ponte del filo, gli permette di rimanere esposto sullo stesso piano della membrana e di muoversi insieme ad essa anche scorrendo tra i due fori, su una lunghezza totale di 20-22 cm. Un modello realizzato in scala minore è stato sottoposto a pesante umidificazione in cella e sistemato su un radiatore del laboratorio, dove giace da otto mesi in ottime condizioni. Con l'intenzione di verificarne in futuro l'efficacia (o meno) si sono introdotte alcune leggere variazioni nel percorso del filo: l'angolo rispetto al margine della tavola, la distanza tra le coppie di fori nel poliestere, e lo sfasamento della sequenza di fili per distribuire meglio la tensione e lasciare scoperto un tratto meno esteso in caso si staccasse uno dei fili. In pratica il tensionamento avviene dal verso della pergamena lavorando su un cartone temporaneo (che può essere utilizzato più volte) con tessuto non tessuto a protezione dell'immagine. Si parte dal centro di due lati opposti per completare via via tutto il perimetro fino agli angoli; dopodiché si scuce la fascia di poliestere per ricucirla, questa volta col recto visibile, sul cartone definitivo, oppure si sovrappone il secondo cartone fissandolo con una cucitura parallela, per poi disfare la prima. Se si ragiona in termini di tempo quello impiegato per queste fasi preparatorie è ben compensato dal fatto che i fissaggi dei capi avvengono solo sulla pergamena. Pensando ai 44 fili curvati che circondano la tavola n. 50 essi diventerebbero 88 capi da incollare sul cartone. Con tale soluzione si realizza invece un sistema che si affida meno all'adesivo e che in un certo senso si autoregola, senza l'entrata in gioco di elementi esterni quali il cartone come punto di forza finale dell'intero meccanismo di tensione. Si mantiene inoltre una bassa invasività dal punto di vista dello spazio. Il passe-partout prevede un foglio protettivo di poliestere fissato sul verso della finestra, uno zoccolo di 3 mm come intercapedine (Canson Conservation con scotch biadesivo) onde evitare il contatto della plastica con i pigmenti, e nastro telato sulla cerniera. Qualora fosse necessario un esame più ravvicinato nelle mappe n. 16 e 50 basterà sollevare la finestra, ma è stato predisposto un piccolo accorgimento per dissuadere gentilmente, o almeno non invitare a un'apertura indiscriminata: due "dentini" di cartone all'interno degli angoli liberi, ricavati dall'intaglio dello zoccolo e incollati sul verso della finestra, che alla chiusura si incastrano nel loro sito e mantengono compatti i tre strati di cartone. Per le tavole n. 1 e 2 invece c'era il desiderio non solo di proteggerle da manipolazione ma di garantire un maggiore isolamento climatico, considerazione che come si vedrà più avanti ha portato a un diverso tipo di passe-partout. La decisione di smembrare la legatura e di conservare le tavole indipendentemente le une dalle altre, comportava una serie di vantaggi per le opere: il fatto di eliminare le pieghe, di impedire il passaggio di sostanze ossidanti da carta a carta, di evitare altresì le deformazioni e le lacerazioni delle tavole, imputabili principalmente alla varietà di dimensioni delle carte, sono stati certamente fattori che hanno giocato un ruolo fondamentale in questa scelta. Così le tavole sono state inserite in cartelle realizzate su misura, con cartoncino C.F.M. Durevole per la conservazione. Tuttavia questa soluzione creava una nuova serie di problemi, non più per le carte, ma per la raccolta nel suo insieme, e in particolare per la sua collocazione fisica negli spazi esistenti. Come mantenere, infatti, l'unità dell'opera una volta smembrato il volume e soprattutto dove sistemare le opere in piano, date le loro riacquistate attuali dimensioni? Il deposito "ex strenne", dove il volume era in precedenza conservato, e dove doveva necessariamente ritornare, non possiede che una sola cassettiera già colma, e, data l'esiguità dello spazio, non è possibile collocarne una seconda. Per risolvere quest'ultimo problema abbiamo dovuto modificare le scaffalature del deposito, facendo realizzare dei ripiani profondi circa 80 centimetri, in grado di garantire un sostegno adeguato alle dimensioni delle cartelle (e a tutti i volumi di grandi proporzioni finora sistemati verticalmente sugli scaffali) e creare dei contenitori che svolgessero la funzione della cassettiera per la protezione delle cartelle dalla polvere. Le tavole sono state raggruppate nei contenitori per formato, pensando ad una posizione verticale per le più piccole e orizzontale per le altre. Escludendo la scatola a doppia valva per la necessità di ampi spazi per l'apertura, abbiamo progettato un tipo di contenitore a vano unico che potesse essere lasciato sullo scaffale anche durante l'estrazione delle tavole. Ma le scatole più grandi sarebbero risultate di dimensioni - la più grande misura 84 x 69 centimetri - e peso considerevoli. Non potendo modificare le dimensioni abbiamo agito sul peso, realizzando i due quadranti con carton plume Kapa-pH-Neutral®, con anima in poliuretano. Questo materiale (che è stato già adoperato, pur con scopi diversi, presso il laboratorio di restauro della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana di Palermo) presenta caratteristiche indubbiamente interessanti: infatti, a parità di spessore pesa 5 volte meno dell'eterno board della ditta Tschudi (2625 g/mq per l'eterno board da 3 mm contro 820 g/mq del carton plume da 5 mm), è garantito il pH neutro - sebbene le tavole siano già protette da cartelle con questa caratteristica -, viene prodotto in fogli di grandi dimensioni (100 x 140 cm.) e all'occorrenza può essere facilmente piegato ad angolo retto. Abbiamo voluto testarne anche la permeabilità per essere certi che potesse essere assicurata, all'interno della scatola, una situazione climatica quanto meno simile a quella delle normali scatole per la conservazione. Abbiamo pertanto posto una scatola realizzata con carton plume e una in eterno board in una scaletta interna del laboratorio che affaccia su un canale, accanto ad una finestra aperta; supponendo che l'umidità avrebbe raggiunto livelli particolarmente elevati, vi abbiamo lasciato i contenitori per un paio di giorni, per rilevare eventuali differenze di umidità relativa all'interno. I dati risultavano esattamente uguali nell'una e nell'altra scatola. La bassissima conducibilità termica del poliuretano, che ne permette l'utilizzo come isolante per frigoriferi e congelatori, inoltre dà buone garanzie anche riguardo all'eventualità di condense all'interno delle scatole. Ma se il carton plume può rassicurarci circa la protezione dall'umidità, non si può dire altrettanto per quello che riguarda il fuoco. E' evidente, però, che ormai le biblioteche sono più attrezzate a fronteggiare gli incendi che le più frequenti variazioni di umidità. Le scatole verticali sono state chiuse con una falda, rivestita in tela da legatoria come il resto dei contenitori, che va inserita all'interno di uno dei quadranti. Per quelle più grandi abbiamo invece studiato un sistema a incastro, per impedire la penetrazione della polvere all'interno della scatola, ma anche per facilitare e rendere più rapida l'operazione di apertura, evitando decisamente l'uso di fettucce da annodare nelle maniere più disparate. Sulla parte anteriore della scatola abbiamo preparato un cartoncino della larghezza e dell'altezza della scatola completa; su di esso abbiamo incollato un pezzo di carton plume accoppiato ad un eterno board delle dimensioni dell'interno della scatola, in modo tale che questo zoccoletto vi rimanga bloccato. La ragione dell'uso combinato di carton plume ed eterno board è quella di fornire maggiore spessore all'incastro per rendere più sicura la chiusura, ma anche quella di irrigidire il materiale sottostante, che per la sua relativa morbidezza potrebbe perdere la nettezza del margine con la sollecitazione reiterata all'apertura della scatola. Il contenitore in cui sono state collocate le quattro pergamene della raccolta, apparentemente uguale agli altri, nasconde una larga fascia di rialzo e un ripiano, che, date le varie dimensioni delle opere, permettono ai passe-partout di essere ben sostenuti e dunque di non gravare gli uni sugli altri. Le pergamene 1 e 2, collocate nella parte bassa di questa scatola, nella raccolta erano le uniche ad essere state incollate su un foglio di carta in posizione recto-verso; per conservare testimonianza della loro sistemazione originale abbiamo pensato di realizzare un passe-partout a doppia faccia. Da questa prima idea è poi scaturita quella di inserire nell'insieme un foglio di Art-sorb (una miscela di gel di silice e cloruro di sodio) condizionato al 55%. Questa scelta, operata con l'intento di sperimentarne l'utilità, ha lo scopo di creare un ambiente il più possibile stabile per questi oggetti, che - ci preme sottolineare - verranno conservati in un magazzino che presenta già condizioni igrometriche soddisfacenti e comunque costantemente sotto controllo. Ad un paio di mesi dall'inserimento del foglio di Art-sorb, i dati confermano l'efficacia di questo accorgimento. All'interno del passe-partout l'UR si mantiene al 49,9%, mentre il valore dell'UR della scatola è del 43%. Considerando che l'ambiente circostante al momento della rilevazione presentava valori del 38,5%, possiamo ritenere che la stabilizzazione microclimatica del passe-partout sia in corso. Per realizzare quest'ultimo ogni pergamena è stata sistemata su una base di cartone Canson Conservation con il metodo di tensionamento già descritto e incorniciata con il proprio passe-partout. Le due basi sono state quindi collegate tra loro dalla parte posteriore grazie ad uno spessore in cartone, fissato ad una delle basi con colla e all'altra con Filmoplast telato ripiegato a metà. In questo modo, qualora sorgesse la necessità di separare le due pergamene (per una esposizione o quant'altro) ciò sarebbe possibile, tagliando il nastro, con minimo danno alla struttura. Così si è ricavato un sottile vano, che contiene il foglio di Art-sorb, la cui chiusura è possibile grazie ad un elemento in cartone a forma di T. Due fettucce sono state incollate al cartone e cucite all'Art-sorb collegandoli. Nel momento in cui l'azione di stabilizzazione del foglio di Art-sorb dovesse esaurirsi, questo potrebbe essere sostituito cucendo alle fettucce un nuovo foglio. Tuttavia lo scambio con l'esterno è molto ridotto per la presenza di due pareti laterali e un fondo in cartoncino, che rifiniscono la struttura e limitano le dispersioni. Tra i vari problemi che abbiamo dovuto affrontare per la sistemazione di queste opere, non è mancato quello di un disegno oversized. Per le misure (35,6 x 123 centimetri) e il cattivo stato di conservazione, la tavola n. 51, raffigurante "fortificazioni militari", non permetteva l'inserimento in alcuna delle scatole, né la piegatura e tanto meno l'avvolgimento su se stessa. Infatti quest'opera, già restaurata in passato, presenta ampie aree di ossidazione dovute all'uso di verderame; tutto ciò avrebbe comportato seri rischi per l'opera al momento della lettura, per la manipolazione a cui sarebbe stata sottoposta per l'estrazione e il conseguente reinserimento nella cartella, come per la mancanza di un supporto adeguato durante la lettura. Le alternative possibili sembravano inizialmente solo due, entrambe insoddisfacenti: o creare una cartellina rinforzata e rivestita in tela, oppure, ignorandone i rischi, piegarla nuovamente per dimezzarne la lunghezza. Nel primo caso la cartella sarebbe stata difficilmente maneggevole e, date le sue dimensioni, avremmo poi avuto grossi problemi per trovarle una collocazione adeguata, mentre la seconda ipotesi risultava davvero improponibile, pur volendo cambiare la posizione della piega, per l'estrema fragilità del supporto. Abbiamo così elaborato e realizzato un'idea - a nostro avviso piuttosto funzionale - che risolve entrambi questi problemi. Abbiamo creato un contenitore, anch'esso rivestito in tela, lungo 65 centimetri, largo 41,5 e alto 6,5, sostanzialmente simile a una scatola a doppia valva, che racchiude un elemento tridimensionale di forma ellittica. Attorno ad esso la tavola può essere adagiata, senza creare alcun punto di incidenza, curvandola dolcemente. La parte destra della scatola ha le tre pareti mobili, che, a contenitore aperto, rimangono distese sul piano di appoggio; il sostegno ellittico (che chiameremo "tamburo") contiene due rotoli di cartone alle estremità e una griglia di strisce di carton-plume, per non appesantirne la struttura. Il tutto è stato rivestito con cartoncino Fabriano da 400 grammi, chiudendo le due parti verticali con un cartoncino sagomato. Per la rifinitura di questo elemento abbiamo poi adoperato della tela sui lati, e quindi una fascia di carta barriera incollata a tamburo, lungo tutto il perimetro dell'ellisse e sulle due estremità arrotondate. Questo elemento risulta completamente ribaltabile dal momento che è ancorato alla parete superiore per mezzo di una cerniera in tela. La parte sinistra del contenitore, che alla chiusura contiene la prima, ha solamente la parete inferiore mobile, mentre le altre due sono fisse. Per conservare la tavola, quindi, è sufficiente adagiarla sul fondo della scatola - che è foderato in carta barriera, in maniera tale che chiudendo il contenitore non ci siano parti a contatto con l'opera non protette da questo materiale -, ripiegare sulla tavola il tamburo e rigirare su questo l'opera. Quindi con la mano destra vanno sollevate le altre due pareti laterali, portandole in posizione verticale, e il coperchio di sinistra va ruotato per incastrare questa base. La chiusura di tutto l'insieme avviene per mezzo di tre tasselli di velcro fissati sulle due pareti lunghe mobili. Per l'apertura, il procedimento inverso è agevolato dalla presenza di un anellino in fettuccia sul tamburo mobile, che permette di sollevarlo senza rischio di toccare e di danneggiare inavvertitamente l'opera. Un ulteriore vantaggio di questa struttura è la possibilità di osservare il disegno senza rimuoverlo dalla propria sede, dal momento che la flessibilità delle pareti permette non crea alcun ostacolo alla lettura. A conclusione di questo lavoro, che ci ha impegnato molti mesi, siamo convinte di aver dato a ogni opera del manoscritto It. VI, 188 la migliore sistemazione possibile. Se, come dicevamo in apertura, ci è stato possibile ricostruire i metodi di conservazione delle tavole prima della riunione in volume sulla base dei danni che hanno provocato, vogliamo sperare che - anche in un futuro molto lontano - l'unica "traccia" lasciata dalle nostre scelte non sia altro che uno stato di conservazione inalterato. * Il lavoro di restauro è stato pienamente condiviso. Per la stesura di questo testo la parte sulle pergamene è stata curata da Silvia Pugliese e quella sui contenitori da Claudia Benvestito. Bibliografia Tra i numerosi articoli che riguardano i trattamenti della pergamena, ricordiamo qui C.Clarkson. Preservation and Display of Single Parchment Leaves and Fragments, in: The Conservation of Archives, Works of Arts on Paper and Library Materials, ed. by G.Petherbridge. London: Butterworths, 1987, p. 201-9 [errata corrige della versione pubblicata su CABNEWSLETTER] e N.Pickwoad. Alternative methods of mounting parchment for framing and exhibitions. «The Paper Conservator», 16 (1992), p.78-85 sui sistemi di tensionamento. Per il budello animale e i restauri J.C.Thompson. Notes on the Manifacture of Goldbeater Skin. «The Book and Paper Group Annual», 2 (1983), p.119, B.Giuffrida. Book Conservation Workshop Manual - Part Four: The Repair of Parchment and Vellum in Manuscript Form. «The New Bookbinder», 3 (1983), p.21-41 e N.Turner. The Conservation of Medieval Manuscript Illuminations and the Question of Compensation. «WAAC Newsletter», 16, 1 (1994), p. 21-22. Sull'uso del carton plume Restaurando. L'attività del laboratorio di restauro (1987-1998). A cura di C.Pastena. Palermo: Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione, 1999, p. 79. 1